sabato 9 luglio 2011

0 Le inutili attese

Ieri è stata una giornata tormentata ma illuminante: ho capito che è buona norma non fare affidamento  su chi ti accoglie con un sorriso perché molto spesso capita che nasconda un tagliacarte dietro la schiena.

Mattina d’estate, una colonnina immaginaria sta raggiungendo rapidamente i 40 gradi centigradi sotto un brutale sol leone ed io mi sto dirigendo verso la mia facoltà per discutere con una professoressa alcune questioni concernenti il mio piano di studi e la poca chiarezza della segreteria. Premetto che erano già due settimane che l’appuntamento veniva posticipato per impegni improrogabili della suddetta prof o per disinfestazione locali (inutile domandarsi perché in Italia si compiono certe attività a università aperta ma sorvoliamo). Finalmente, vista la mia assoluta urgenza, riesco a trovare un giorno disponibile ed eccomi lì, più che puntuale, direi maniacalmente puntuale, alle 9 e 30 davanti alla porta dello studio della prof, che naturalmente non c’è. Sarebbe stato paradossale considerato il personaggio in questione.

Arriva dopo un’ora e mi saluta calorosamente. Buon segno dico io. Peccato che faccia entrare prima di me la marea nera composta da un numero imprecisato di miei colleghi che devono farsi registrare il voto. Ok, calma e gesso, aspettiamo non ci vorrà poi tanto no? La pazienza però inizia a venir meno quando vedo che per ogni persona che entra c’è una gran trafila da seguire: saluto, libretto, dito sotto il mento segno di meditazione voto (sarà normale visto che i voti li aveva già assegnati nero su bianco su un agendina?), decisione finale, chiacchiera di contorno, compilazione e via il prossimo. Inutile parlare poi dei numerosi intermezzi rappresentati da telefonate al cellulare, conciliaboli con altri docenti e nuove interminabili ciarle. La cosa è già di per sé seccante, ma non quanto veder comparire alla spicciolata nuovi colleghi per la registrazione voto, che ovviamente hanno la precedenza rispetto alla sottoscritta che poverina è lì da solo 2 ore e mezza. Stremata, a mezzogiorno e mezzo, decido che può bastare ed entro. Tenete conto di un piccolo particolare: non avevo mangiato niente e c’era la stessa temperatura di una fornace. Praticamente l’ingresso per l’Inferno. Mi vede e mi dice con candore: ma sono finiti gli studenti che dovevano registrare i voti? MA STIAMO SCHERZANDO PER CASO? Nemmeno il rispetto e la decenza di chiedere scusa per l’attesa. Da lì in poi è stato poi il trionfo dell’indecenza. Non mi ha risolto niente, anzi mi ha peggiorato le cose, spaventandomi con ipotesi fantascientifiche come per esempio la possibilità, anzi l’obbligo burocratico di dover sostenere esami che mi erano già stati convalidati perché devo pagare il fio di errori commessi dalla solerte segreteria studenti. Questa è l’Italia. Non bastasse questo, la professoressa (sbuffante e con un modo di fare inspiegabilmente arrogante) mi ha pregato di ritornare comodamente (cioè a settembre) con tutta la documentazione necessaria per rifare tutto l’ambaradan. Così, io che ho avuto la malaugurata idea di riscrivermi all’università per prendere una seconda laurea vista l’assoluta assenza di lavoro, devo stare ferma ai box finché non decideranno di farmi sapere che esami devo sostenere e quali no.

Perché ho parlato di gente cordiale con il coltello tra le mani? Perché questa stessa amabile docente è stata quella che mi ha convinto a iscrivermi in Beni Culturali perché avrei finito in un anno e mezzo massimo perché mi avrebbero convalidato tantissimi esami. Tutto falso. Le serviva un iscritto in più per rimpolpare le tasche della nostra benemerita università di Cagliari, tra le ultime e non per caso. La mediocrità la si avverte in tutto: nelle false promesse, negli errori grossolani di chi è pagato per occuparsi di burocrazia, nell’assoluta indisponibilità dei docenti, nella mancanza di rispetto da parte di questi ultimi verso gli studenti. Io intanto ho perso una mattinata per non risolvere niente e devo dire che un po’ me l’aspettavo vista la mia assoluta sfiducia nei confronti degli attuali professori universitari, troppo presi a fare barricate contro le decisioni politiche e poco inclini a curare gli interessi degli studenti.

La fila che ho dovuto subire è stata comunque illuminante per vedere come gli attuali studenti universitari siano più o meno uguali ai frequentatori delle spiagge: ragazze con short inguinali e ragazzi con boxer al ginocchio. Dieci anni fa vedevi ancora i capelloni che si giravano le sigarette nei corridoi o quelli in cravatta e camicia con la 24ore sotto braccio, diciamo che avevano senz’altro più senso di questa gente senza pudore. Il sistema università non ha più senso, me ne accorgo dopo esserci rientrata. Che senso hanno ancora le facoltà umanistiche? Io sono iscritta in Beni Culturali e non c’è quasi nessun esame che abbia una validità pratica, visto che inspiegabilmente hanno persino deciso di eliminare dal piano di studi una disciplina senz’altro fondamentale come Restauro. E’ una vergogna. Questa è la situazione a Cagliari.      

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