mercoledì 31 agosto 2011

0 Martian Child (2007)

David (John Cusack) è uno scrittore di fantascienza di successo che perde tragicamente l’adorata moglie e per superare il trauma della recente morte decide di adottare Dennis un bambino con problemi comportamentali. Egli infatti crede di essere un marziano giunto sulla Terra per compiere una missione e naturalmente per questo motivo viene visto dai suoi coetanei come una persona stramba e viene isolato. David invece si affeziona subito a quello strano bambino così intelligente e profondo, curioso verso il mondo e la sua gente, desideroso di essere amato da qualcuno ma quasi rassegnato a non esserlo mai.

Impossibile non commuoversi in ogni singolo frammento di film, un film pieno di poesia e amore, semplicità e spessore. A volte mi chiedo come sia possibile che John Cusack non abbia il successo che meriterebbe. Adoro il suo modo di recitare, quella sua aria da scazzato che nasconde un animo nobile e un’ironia irresistibile. Cusack ha il talento raro di chi sa farti affezionare incondizionatamente verso il personaggio che interpreta, non sembra mai che reciti ma sempre che viva una frazione di vita reale con un nome sempre diverso.

Nel film interpreta un uomo fragile ma allo stesso tempo forte, un uomo che per molti aspetti si rivede in quel bambino così incompreso dal mondo e soprattutto per questo se ne innamora di un amore completo e eterno. Un uomo che si scopre padre a poco a poco, che impara ad esserlo per riempire una vita che sembrava incompleta dopo la morte della moglie. L’arrivo del bambino lo cambia anche nella parte professionale della sua vita, visto che abbandona il filone fantascientifico (adottato per superare le difficoltà insite nel suo essere estraneo al mondo che lo circondava da ragazzo) per scrivere un romanzo commovente che descrive la sua vita reale, diventata splendida con l’arrivo del “marziano” Dennis.

Consiglio la visione del film veramente a tutti, non vederlo sarebbe come perdere la possibilità di essere un po’ più umani, un po’ più sensibili verso le persone che frettolosamente giudichiamo in modo negativo solo perché non le comprendiamo.

VOTO 10  

domenica 28 agosto 2011

0 Colpo secco (1977)

Un film tutto basato sull’hockey su ghiaccio, uno sport poco conosciuto in Italia ma adorato negli stati più freddi dell’America. La pellicola narra le vicende dei Cheans, una squadra scalcagnata che milita nella massima divisione senza ottenere risultati eclatanti e con il serio pericolo di essere venduta. Il suo capitano è Reggie (Paul Newman), giocatore/allenatore in età pensionabile che mette tutta la sua vita al servizio della squadra, anche a costo di perdere l’amore della moglie, stanca di essere trascurata e tradita durante le trasferte. Un giorno Reggie si sveglia con la voglia di abbandonare la correttezza sul campo per abbracciare un tipo di hockey più violento e spettacolare che in breve tempo trasforma i suoi giocatori in veri e propri beniamini idolatrati dalla folla.

Certo le atmosfere anni ‘70 regnano incontrastate soprattutto nei pantaloni a zampa d’elefante, le pettinature femminili cotonate e i baffoni per gli uomini. Sorprendente il 52enne Newman che combatte come un leone e si lascia ancora ammirare per i suoi magnifici occhi azzurri oltre che per una credibile interpretazione dello sportivo che non vuole appendere i pattini al chiodo per dedicarsi al ruolo di semplice allenatore. Il film è il massimo per chi ama lo sport e il minimo per chi lo detesta nonostante i numerosi inserti di vita privata che vedono protagonisti i vari giocatori. Ho trovato molto bello e commovente il modo di raccontare le trasferte, con una corriera tenuta insieme con lo spago e con le interminabili partite a carte nell’intento di ammazzare il tempo.

VOTO 6,5  

venerdì 26 agosto 2011

7 Costa Fortuna. Isole Greche. 16-23 Agosto 2011

Eccomi qui a raccontare la mia seconda esperienza con Costa Crociere dopo il bel battesimo dello scorso anno su Costa Allegra. Stavolta ho scelto Costa Fortuna per l’itinerario che partiva da Bari per attraccare nei porti di Olimpia, Santorini, Rodi, Dubrovnik e Venezia. Una settimana intensa che PURTROPPO è stata quasi totalmente negativa, giudizio condiviso dalla mia compagna di viaggio e da numerosi ospiti della nave.

Spero di essere il più precisa possibile in modo che chiunque sia interessato al mio stesso viaggio possa avere un’idea complessiva dei pro e dei contro di questa imponente nave e del suo numerosissimo e arrogante equipaggio.

Importante premessa: la mia accompagnatrice era al terzo viaggio Costa e io come ho precedentemente sottolineato al mio secondo, ben felice di tornare a solcare i mari su una compagnia italiana che mi aveva lasciato totalmente soddisfatta neppure un anno prima.

IMBARCO: nota di merito visto che l’imbarco dei soci Costaclub è avvenuto tempestivamente e velocemente. Nota di demerito, l’impossibilità di capire quali fossero i mezzi che portavano dall’ingresso del porto alla zona di imbarco, vista la totale assenza di indicazioni Costa, perciò non è stato per niente piacevole andare a piedi sotto il sole inclemente fino all’edificio adibito agli imbarchi. Nella zona d’attesa era assente il banchetto per offrire qualcosa di fresco prima di salire in nave, cosa che invece non era mancata a Civitavecchia pur nella sua rusticità. Pazienza.

CABINA: abbiamo scelto una cabina interna dislocata al secondo ponte molto vicina alle scale che portavano al nostro ristorante. L’ampiezza della camera era oggettivamente coerente con il suo costo, perciò poco spazio per due valigie con conseguenti disagi per tirare fuori il vestiario, perennemente appallottolato alla belle e meglio. Bagno di dimensioni ridotte e totale assenza di sapone nella doccia e questo per tutta la settimana nonostante le nostre continue richieste alla nostra cabinista (Junki mi pare). Lo sciacquone non ha mai fatto veramente il suo dovere fino al suo totale ammutinamento per colpa della stessa addetta alle pulizie che ha pensato bene di gettare gli involucri delle lenti a contatto giornaliere all’interno del water. Abbiamo reclamato e il tecnico, che non sapeva niente di italiano, ha continuato a rimproverarci dicendo NO GOOD e sventolandoci davanti agli occhi gli oggetti del crimine. Abbiamo fatto presente la cosa al servizio clienti e dopo un giorno abbiamo ricevuto le scuse della cameriera, che finalmente si era assunta le sue colpe. La pulizia della camera è stata sufficiente ma assolutamente invadente la cameriera che in più occasioni è voluta entrare per portare degli asciugamani e altre cose pur vedendo che alla maniglia era appeso il NON DISTURBARE. Conseguenza: salti precipitosi verso l’unico angolo cieco della stanza per raccattare una maglietta. Non ho gradito neanche la libertà non autorizzata di sistemare le nostre cose poggiate sulla scrivania, tanto è vero che spesso abbiamo faticato a trovare alcuni oggetti misteriosamente spostati da altre parti. Ottima la bottiglia di prosecco trovata al nostro arrivo.

NAVE: la nave è molto grande e questo non si è rivelato un bene visto che spesso abbiamo faticato a trovare i vari ristoranti, rintracciabili solo col GPS. Le piscine invece sono piccole e lo scivolo tutto sommato inutile. I lettini introvabili e la maleducazione di 3000 individui di provenienza diversa davvero insopportabili. Più la nave è grande più aumentano i viaggiatori più il disagio aumenta, così come i numerosi disservizi.

SERVIZIO CLIENTI: abbiamo avuto a che fare con queste simpatiche persone quasi tutti i giorni e non è stata una bella esperienza. Gli unici due casi di gentilezza e competenza sono stati quelli di Giovanna e Roberto, due ragazzi squisiti e alla mano. Il problema più grande è sorto quando ci è arrivato un avviso che diceva di contattare al più presto il personale addetto ai pagamenti. Qui è stata un’amara sorpresa scoprire da una peruviana che definire stronza è dire poco, che non erano più accettate le CARTE POSTA PAY. Questo è stato uno shock visto che l’agenzia di viaggi dopo conferma di Costa Crociere ci aveva dato l’ok per l’uso di questo sistema di pagamento. Fortuna ha voluto che avessimo la possibilità di fare un assegno ma ciò non toglie che nessuno (a parte Giovanna) abbia avuto un minimo di educazione e di comprensione ma solo quell’espressione schifata verso persone che in quel momento avevano un problema non da poco. La sensazione è sempre stata di atteggiamenti diffusi di sufficienza e superiorità, a mio modo di vedere inspiegabili ancora di più verso membri di Costa Club. Anche l’ufficio escursioni è stato poco cortese e l’addetta non ha saputo offrire le indicazioni che ci servivano tanto che abbiamo dovuto fare da sole.

ANIMAZIONE: gruppo antipatico, svogliato e poco professionale. Atteggiamenti arroganti da parte di alcuni maschietti addetti all’animazione in piscina. Sorrisi falsi e piaggeria da vendere. L’addetta ai balli latino americani era scarsa e più adatta ad insegnare aerobica. I due brasiliani perennemente stanziati nelle sale da ballo a far ballare antiche babbione avevano sempre un’espressione da “che ca..o ci sto a fare qui” e infatti proprio questa settimana dovevano cambiare nave per mancanza di stimoli. Poveretti, come non capirli? Assolutamente stonato il tizio del piano bar e fastidioso il gruppo amerindo che cantava continuamente la stessa nenia gitana fino a tirarti scemo soprattutto nelle continue fasi di nervoso in prossimità del servizio clienti. Gli spettacoli della sera erano da suicidio: noiosi, pesanti, pessime coreografie (tranne quelle tratte da video musicali), affollati di gente fin da mezzora prima dell’inizio. Unica bella voce quella di Carlo Pavan, tranne in Maria di Ricky Martin, che ha massacrato dall’inizio alla fine. Patrizia la direttrice di crociera è stata all’inizio anche simpatica poi solo fastidiosa nel continuare a tradurre interi blocchi di frasi in 5 lingue differenti (favore che generalmente non viene fatto a noi italiani in altre compagnie di crociera estere). Il suo sorriso era falso e i suoi aneddoti sapevano di stantio e di carta riciclata duemila volte. Non ho gradito soprattutto il continuo giro di parole sul fatto che eravamo ormai in prossimità della fine della crociera, soprattutto perché ha iniziato a parlarne dal nostro secondo giorno di vacanza. Pallosissime anche le continue esibizioni dei camerieri ogni benedetta sera con la conseguenza che si doveva aspettare un ciclo lunare per avere il dessert.

ESERCITAZIONI: 3000 idioti con il giubbotto di salvataggio sul ponte della nave, in fila per 4 col resto di due altrimenti gli addetti si incazzavano. Davanti le donne con prole, dietro le donne sguarnite, dietro ancora gli uomini. Troppo lungo e sostanzialmente inutile, bastava fare un annuncio via radio visto l’abuso fatto per 7 giorni di tale mezzo.

RISTORANTI E QUALITà CIBO: i ristoranti alla carta sono due, il Michelangelo e il Raffaello. Poi c’è il buffet (pessimo ogni possibile immaginazione, tranne le carote in insalata e con questo ho detto tutto) e il fast food (mi ha salvato numerose volte e certamente non dimenticherò i suoi hamburger e patatine). Il pranzo è stato una quotidiana tragedia e infatti mi sorprendo di non aver rotto qualche vetrata con un piatto rotante vista la rabbia che solo i camerieri del turno di pranzo ti sanno scatenare nel profondo dell’anima. La nostra richiesta è sempre stata la stessa: un tavolo per due. Ci è stato concesso solo una volta e dopo numerose resistenze di più di un cameriere che non sopportava evidentemente l’idea che non riempissimo il tavolo rotondo da 10 persone, ammucchiate alla bell’e meglio. Un volta ci volevano persino vietare l’ingresso nonostante mancasse più di mezzora alla chiusura. Solitamente viene riservato un trattamento più che di favore alle famiglie mentre le coppie vengono collocate dove c’è spazio, possibilmente a riempire gli spazi mancanti dei vari tavoli. L’ultimo pranzo c’era un tavolo da due libero, ma ci ha pensato il fiero barese con riporto a dirci con fare minaccioso che era stato tenuto in caldo per la sua coppia di parenti pugliessi e zitte e mosca. Io non avrei desistito (di solito l’uomo con gli occhiali non mi suscita particolare timore) ma su suggerimento di chi è più saggio di me mi sono adattata a stare nel solito tavolo di sconosciuti. A pranzo in ristorante si mangiava male con quasi nessuna scelta tra le varie pietanze. Inqualificabile la mozzarella dura e i pomodori insapori o la pasta scotta e mille altre pietanze da mensa aziendale. A CENA il discorso cambia per l’educazione e l’impeccabilità del servizio. Il cibo un po’ meglio del pranzo ma comunque non memorabile e spesso ripetitivo. Sicuramente ci è stato uno scadimento notevole da un anno con l’altro, vista la bontà di ogni singolo piatto della Costa Allegra. I dolci meritano un discorso a parte vista la pessima qualità degli stessi, soprattutto il dessert servitoci durante la cena di arrivederci: assomigliava ad una scadente merendina preconfezionata. Da ricordare solo lo strudel, ma comunque nella media. Cosa per me inqualificabile e degna di ammutinamento del passeggero pagante è l’ignoranza dell’intero equipaggio addetto al servizio ai tavoli e alla pulizia delle cabine. Ignorano l’italiano e perciò non sono in grado di capire un’acca delle vostre lamentele o semplici richieste. Sorridono o fanno finta di niente, intortandovi con tutto l’inutile rituale dello spostamento sedia e del tovagliolo posato sulle ginocchia delle dame.

SERATE DI GALA: abbiamo partecipato a due di queste autocelebrazioni buone solo per gli allocchi. L’anno scorso erano state di qualità elevata, quest’anno di qualità più che infima. La prima che coinvolgeva tutti gli ospiti è stata un carnevale di maleducazione con gente che si spintonava per arrivare al bancone del bar per ottenere il famoso drink gratuito. Non c’erano camerieri che passavano tra la gente con i vassoi ma solo gente assettata impilata sui sedili del bancone ad aspettare che i camerieri fossero più veloci nel riempire i bicchieri. Il prosecco era da discount, orrendo. Il COCKTAIL col capitano è stata l’ennesima presa per i fondelli: doveva essere esclusivo e doveva concludersi con la foto col capitano. C’era quasi altrettanta gente del primo cocktail e la foto col capitano era un fotomontaggio. Il vino proveniva sempre dallo stesso discount.

OCCASIONI PER SPILLARTI SOLDI E SPENNARTI: il Bingo ti attira ogni sera col miraggio delle migliaia di euro, peccato che la cartellina costi SOLO 20 euro. Molta gente continuava a comprarne quotidianamente mentre noi ci siamo fatte fregare solo una sera. Abbiamo anche partecipato all’estrazione del biglietto per vincere un IPAD (5 euro) ma naturalmente non abbiamo vinto assolutamente niente. Fatevi voi un conto di chi ha vinto veramente, se costa crociere o chi ha comprato decine di inutili biglietti. Privo di commento un regolamento non scritto che esige una quota minima di 5 euro per giocare alla roulette.

ESCURSIONI: viste le cifre e le impressioni deludenti dell’anno scorso abbiamo fatto solo l’escursione di Olimpia con visita del santuario e del museo. La guida era una vecchia mummia del periodo tardo ellenico e conosceva poco l’italiano, oltre a dire numerose inesattezze. Fortuna ha voluto che conoscessi piuttosto bene grazie agli studi universitari tutto il complesso archeologico. La salita al villaggio di Phira è stata apocalittica per l’ora di fila per accedere alla teleferica, ma niente messa al confronto con la discesa a piedi tra merde di mulo e muli incazzati. Centinaia di gradini ripidi e interminabili (comunque un’esperienza che ricorderò con più di un sorriso). Rodi è stata una bella scoperta, raggiungibile e visitabile senza bisogno di guide, con una bella spiaggetta in prossimità del porto. Dubrovnik è stata deludente, carissima e bollente. Evitabile. Venezia un ‘esperienza unica da vivere e rivivere per cent’anni in una vita. Consiglio vivamente di arrivare a San Marco dal Piazzale Roma, camminando e ammirando ciò che di meraviglioso e unico ci hanno lasciato uomini di altri tempi. Da visitare non in crociera ma con un viaggio specifico nella capitale del romanticismo per ammirarla in tutte le fasi del giorno e in ogni suo angolo nascosto. Evitate Bari come la peste se ci tenete alla vostra vita.

In CONCLUSIONE questa crociera la ricorderò per alcuni aspetti positivi (vedi i tardi pomeriggi in un ponte esterno tranquillo e lontano dai casini, la colazione abbondante e varia, i profumi pagati a prezzo scontatissimo) e per gli innumerevoli aspetti negativi che sommati mi hanno portato alla decisione di chiudere con le crociere per un bel po’ di tempo e scegliere invece altre tipologie di viaggio più convenienti e meno fasulle del marchio Costa.

Evitate se potete la COSTA FORTUNA

martedì 9 agosto 2011

0 Awake - Anestesia cosciente (2007)

Che magnifico thriller!

Un film che inizia in punta di piedi, lento lento ma che poi trascorsi i primi 30 minuti necessari per spiegare l’antefatto, prende l’abbrivio e non si ferma più fino ai titoli di coda.

Il trailer, così come il titolo, vorrebbero puntare tutto l’interesse dello spettatore verso l’esperienza traumatica e angosciante della coscienza durante un’operazione chirurgica in anestesia totale ma in realtà il film parla di tutt’altro ed è questo il suo bello. Infatti tu sei lì tranquillo nel tuo terrore di vedere uno steso sul lettino che sente lo scorrere del bisturi sulla pelle quando poi il regista tira fuori dal cilindro una terribile storia di inganno e tradimento. Non te lo aspetti e capisci che c’è ancora qualcuno che ha voglia di creare qualcosa di nuovo nel genere thriller. A mio modo di vedere infatti Joby Harold ha realizzato un gioiellino poco conosciuto ma degno di meritare un posto d’onore tra i thriller migliori degli ultimi anni.

La storia parla di Clay un giovane manager che segue le orme del defunto padre e che vive con sua madre Lilith in una bella villa di New York. Clay è innamorato da 6 mesi di Sam segretaria della madre  ma non ha il coraggio di confessarlo a Lilith per timore di deluderla e di lasciarla sola. Clay soffre anche di cuore ed è in attesa di un trapianto che gli possa salvare la vita. Il giorno stesso che Clay confessa a Lilith che ama Sam, decide di sposare quest’ultima. Dopo qualche ora arriva la telefonata dall’ospedale che lo avverte che finalmente è stato trovato un cuore compatibile col suo gruppo sanguigno. Clay ha già deciso di farsi operare dal suo amico Jack nonostante il parere contrario della madre che lo vorrebbe far operare da uno dei più importanti cardiochirurghi dello Stato. L’intervento inizia ma l’anestesista viene sostituito all’ultimo secondo perché telefona per dire che non si sente bene. Arriva allora un sostituto che sbaglia l’anestesia non rendendosi conto che Clay ha sì gli occhi chiusi ma in realtà sente e si accorge di tutto ciò che sta avvenendo. Questo errore in realtà servirà a Clay per scoprire qualcosa che mai si sarebbe immaginato…

Hayden Christensen (Clay) non offre una prova memorabile ma del resto il film non lo richiedeva, bastava solo che svolgesse il ruolo del malato di cuore e dell’ingenuo, cosa che gli è riuscita particolarmente bene. Jessica Alba (Sam) con la sua faccia così televisiva e poco cinematografica ricopre alla perfezione la parte della stronza. Molto più convincente la brava Lena Olin (Lilith) nella parte della madre che difende il proprio figlio fino a sacrificare se stessa prima rinunciando ad avere un marito violento accanto a sé e poi donando la propria vita per dare un’ultima speranza al suo bene più grande.

Un film consigliatissimo

VOTO 7,5   

lunedì 8 agosto 2011

0 Patto di sangue (2009)

Il film è un remake di Non entrate in quel collegio (1983) e si presenta subito come il più classico dei teen horror. Per il soggetto ricorda molto da vicino So cosa hai fatto mentre per la mise del serial killer fa riferimento a Scream e ai suoi mille seguiti.

La storia è incentrata su una confraternita studentesca, la Theta Pi, di cui sono membri Megan, Cassidy, Jessica, Ellie, Chugs e Claire. Durante una festa a base di alcol e sesso, alcune di loro decidono di fare uno scherzo ai danni del ragazzo di Megan colpevole di averla tradita con un’altra. Le amiche suggeriscono a Garrett di dare alla fidanzata delle pastiglie che l’aiutino a rilassarsi ma poi Megan inizia ad avere delle convulsioni e perde i sensi. In realtà è tutto un trucco ma il ragazzo in preda alla disperazione decide insieme alle altre di portare comunque Megan al primo ospedale per tentare l’impossibile. I sette protagonisti giungono però in una zona deserta e lì Garrett capendo che non c’è più nulla da fare decide con le altre di nascondere il corpo ma non prima di aver piantato nel corpo di Megan un oggetto tagliente che la impala sul terreno uccidendola per davvero. A questo punto tutti, a parte Cassidy, fanno un patto che impone a ciascuno il massimo riserbo sulla storia e continuano così la loro vita fino a quando una di loro viene misteriosamente uccisa da un personaggio incappucciato…

Come si può notare il film ha una trama molto lineare che si dipana attraverso uccisioni alquanto spettacolari come nella migliore tradizione splatter. Non mancano i continui riferimenti a Facebook giusto per ricordarci che siamo negli anni 2000, così come la classica colonna sonora discotecara a coronamento delle disinibite feste universitarie americane. Il mondo delle confraternite viene brutalmente denigrato dal regista così come è tipico di certi film americani da trent’anni a questa parte. Un mondo fatto da membri accuratamente selezionati per stronzaggine, puzza sotto il naso e nonnismo, ma un mondo che chissà perché continua a sopravvivere in quell’incoerente continente a stelle e a strisce. A noi amanti dei film horror questo non importa più di tanto in quanto siamo più interessati a godere di un’ora e mezzo di colpi di scena (a volte telefonati) e di sangue a fiumi.

La pellicola comunque è di discreta fattura, tanto da non farmi capacitare del fatto che il film sia uscito solo in dvd. E’ un buon prodotto con un cast adeguato. Chiedere di più sarebbe troppo. Lo spavento latita ovviamente, ma siamo sinceri: nel 2011 è ancora possibile creare qualcosa capace di impaurire o angosciare lo spettatore? Io credo di no ma sarei ben felice di essere smentita. Unica pecca i dialoghi veramente adolescenziali e certe assurdità che comunque sono sempre state presenti in questa tipologia cinematografica.

VOTO 6,5

venerdì 5 agosto 2011

19 L’aperitivo a Cagliari

L’aperitivo a Cagliari NON ESISTE. Questa è l’amara conclusione a cui sono arrivata dopo innumerevoli tentativi andati a vuoto. A Cagliari il 90% dei gestori di un bar non conosce il significato della parola “aperitivo”, di tutto ciò che è insito in queste 8 magiche lettere che da Bologna in su sono tenute in massima considerazione. A Cagliari si preferisce lesinare sulla quantità e spesso sulla qualità a tutto danno di chi sogna di potersi bere un calice di vino con l’accompagnamento di qualche semplice tartina. Nel mio immaginario non mi spingo oltre la tartina perché nella mia città sarebbe come bestemmiare.

Spesso mi capita di andare a Novara (che con tutto il rispetto non è una metropoli o la capitale del divertimento) ebbene ci sono svariati locali in cui è possibile mangiare fino a scoppiare pagando una modica cifra iniziale. Che so, 7 euro un alcolico e 5 euro un analcolico. In un locale per esempio ordinando una semplice birra ho potuto mangiare delle squisite e infinite fette di pizza appena sfornate insieme a taglieri di salumi e formaggi. In un altro (Lo Stregone), con una flute di prosecco ho mangiato dall’insalata di patate e pomodori, al riso, alle focacce e alla pasta e nessun cameriere o proprietario guardava storto chi si alzava per servirsi anche due o tre volte, anzi tutti avevano un sorriso per ciascun cliente invitandolo a servirsi liberamente. A me è sembrato un Paradiso ma in realtà nel Milanese è ordinaria amministrazione.

A Cagliari, al contrario, al cliente capita spesso di sentirsi sotto l’occhio brutale del Grande Fratello nella persona del gestore o del cameriere nel caso in cui ci si trovi in un locale che insieme alla roba da bere (spesso scadente) offra le spartane ciotoline di olive o patatine dell’era di mio nonno buonanima. Mi spiego meglio: ti guardano male se accenni a servirti una seconda volta di qualcosa che è poggiata sul bancone.

Ora però entriamo nel vivo di questa disamina. A Cagliari (poco) ridente capoluogo della regione Sardegna esistono diverse tipologie di bar:

1) Bar bettola: fino a qualche anno fa costituivano il 99% dei bar cittadini. Come nei peggiori bar di Caracas si trova il barista/proprietario con la faccia da galeotto, lo strofinaccio sulla spalla, le paste per la colazione del 1982 e le cacche di mosca sulla vetrata. In questi bar le uniche bevande servite sono birra e caffè. Mai spingersi a richieste stravaganti come prosecco, bitter o campari. Mi limito a citare il bar Congera ma la lista sarebbe lunghissima. L’aperitivo questo sconosciuto.

2) Bar di media fascia ma di antica data: questi sono i bar storici che fanno della loro età anagrafica un vanto che però non corrisponde ai fatti. Pirani è un bellissimo bar pasticceria dove non conoscono la parola cortesia, dove è assolutamente illecito aspettarsi che il cameriere ti serva con un sorriso e dove i tavoli sono tutti prenotati anche se non c’è mai nessuno seduto, le tovaglie spesso e volentieri sono sporche così come i vetusti pavimenti. Aperitivo inesistente. Bar Floriana: altro bel bar elegante dove ho ordinato un prosecco e mi è arrivata acqua frizzante con un goccio di Tavernello per colorare. Bellissima la frase del cameriere “vi ho portato anche delle patatine di accompagnamento ma solo perché siete voi!”. Lascio ai posteri i commenti ma rifletto sulla qualità scadentissima delle suddette patatine, molli e con un inequivocabile sapore di stantio. Antico Caffè: bar turistico o da vecchi fighetti di castello. Bar con la puzza sotto il naso e dall’aperitivo scarso. Qualche minuscola tartina e olive. Prezzi alti.

3) Bar di fascia media senza una particolare storia alle spalle: sono tantissimi e tutti più o meno viaggiano sulla totale assenza di aperitivo. Non conoscono i cocktail più diffusi (Bellini o Rossini) e hanno marche scadenti di vino. Col banalissimo bitter ti portano (ma non sempre e non tutti) le sempiterne patatine. Lavorano tanto con i cappuccini e i caffè alle ore più improbabili perciò non sono assolutamente interessati al vagheggiato aperitivo. Un bar che alza un po’ la media è il Bumbo che sia a pranzo che alle 19 riempie parte del bancone con varie ciotoline e un vassoio di panini o pizzette. Prezzi onestissimi e servizio adeguato.

4) Bar fighetti: rappresentano la nuova generazione dei bar cagliaritani. Con lo stile architettonico e l’arredamento vogliono richiamare Milano ma la somiglianza con la capitale della moda e dell’aperitivo finisce lì. L’aperitivo lo fanno tutti ma ALLE LORO CONDIZIONI. Ossia: inizio alle 20.30 e a giorni stabiliti. Cioè se capito alle 7 di un mercoledì sera non troverò nulla se non i prezzi alti. Pubblicizzano in maniera scoppiettante i loro famigerati aperitivi come se fossero un evento imperdibile, ma in realtà scoraggiano l’essere umano normale a capitare dalle loro parti. Sembra quasi necessario essere amici del gestore o ancor peggio essere presenti in una lista oppure avere scritto in fronte “sono popolare”. Se sei uno normale non ti caga nessuno, figuriamoci i camerieri. Il Peek a Boo così tanto decantato è sicuramente un bel locale ma manca totalmente di organizzazione oltre a non avere una sua identità. Non puoi essere bar da colazioni per i clienti e i lavoratori del mercato, sala da the, locale da aperitivo, ristorante e discopub. C’è qualcosa che non torna e infatti lasci a desiderare. Come si può poi organizzare sia un aperitivo normale che un aperitivo rinforzato (che sottolineo a Milano sarebbe normale) negli stessi giorni, spingendo la gente delle 19 a finire in fretta perché devono avere i tavoli liberi per dopo? Una volta ho preso un the alle 17 e non solo non mi hanno lasciato il carnet con la scelta di bustine sul tavolo (come sarebbe doveroso) ma hanno avuto anche la faccia di dire che i biscotti (Balsen) li aveva fatti il loro cuoco. Non ci ho più messo piede perché a me le apparenze non convincono mai, preferisco l’onestà e l’educazione. Passiamo al Nuovocaffè: alla sua apertura ero rimasta piacevolmente colpita. Scelta ampia di aperitivi e ottime etichette di vino. Qualche buona tartina di accompagnamento. Certo la simpatia era un optional ma ho notato che è una cosa comune in questi locali trendy e già questo per me sarebbe sufficiente a far chiudere un locale di qualsiasi tipo. Ci sono tornata da poco e onestamente è stata una delusione. Era un sabato e non avevano niente di quello che c’era sul menu, alla fine ho dovuto prendere un San Bitter che mi è arrivato con tanto ghiaccio e metà contenuto della bottiglietta perché difatti l’altra metà era nel bicchiere della mia amica. Il prezzo però era moltiplicato per due. Da mangiare patatine. Bocciato. Lyricon: dalle foto del ricco aperitivo presenti su Crastulo sembrava una cosa da fantascienza qui a Cagliari. Sono voluta andare a provare. Era un giovedì, erano le 19.45 e non c’era niente da mangiare. Poi ho scoperto perché: l’aperitivo inizia alle 20. Bocciato senza appello. Cafè Europa: odio questo locale per svariati motivi: la maleducazione in primis, il modo di ignorarti se non ti conoscono per servire amici loro arrivati dopo di te, prezzi medio alti senza praticamente niente da accompagnare alla bibita ordinata. Anzi fanno di testa loro, a volte ti servono le patatine e le olive (piene d’aglio), a volte niente. Chiudo con il THotel: lo conosco benissimo perché ho fatto innumerevoli aperitivi e tutti di alto livello per la media generale dei locali cagliaritani. Tante piccole specialità gastronomiche e salatini di qualità, cortesia e gentilezza. Locale bellissimo e intimo. Barman esperto ma prezzi assolutamente improponibili per delle comuni tasche. Ora come ora non ci tornerei ma devo dire che tra tutti è il locale che meglio rispetta i miei personali canoni in fatto di aperitivo ed atmosfera. Non è un posto da fighetti che ti squadrano ma per persone di livello che si fanno i cazzi propri e a me basta e avanza.

Insomma il discorso è presto chiuso: a Cagliari io l’aperitivo milanese non l’ho ancora trovato e sinceramente mi sono anche un po’ stufata di cercarlo. In un forum leggevo che i gestori non si sentono garantiti dal guadagno fatto sulle bibite rispetto al fatto di offrire da mangiare. In soldoni: non gli va che uno prenda una birra o una coca e si mangi l’impossibile. In loro prevale la tirchieria piuttosto che l’aspirazione a far diventare questa città un luogo turistico ma anche imperdibile per i propri concittadini. Perché cucinare della pasta al forno (5 euro in tutto per gli ingredienti?) o un insalata di riso o una pizza divisa in mille parti se posso guadagnare senza spendere un centesimo? E’ questo che fa di Cagliari una piccola realtà provinciale dove la gente è costretta a mangiarsi un economico kebab piuttosto che finire scollettato in qualche ristorante di casa nostra. Se tu gestore abituassi la gente alla normalità di un ricco buffet, la stessa gente capirebbe da sola che forse è il caso di limitare la propria ingordigia. Inutile dire poi che in altre città la fame del cliente non è vista di cattivo occhio ma semplicemente si aggiunge altro cibo nei vassoi che si svuotano senza che questo mandi in rovina nessuno. E’ un concetto troppo astruso qua, dove non esistono che pochi ristoranti che propongono menu a prezzo fisso. Non  c’è il concetto della convenienza per il cliente, ma del risparmio e del guadagno per il proprietario. Inoltre anche il cagliaritano ci mette del suo nell’abitudine triviale di bere il cappuccino alle 8 di sera. Ma questo non dovrebbe interessare se non il proprietario di un bar senza pretese che è l’unico a non guadagnare niente da un buffet. E’ maledettamente ovvio che ogni gestore deve fare uno studio sul target rappresentato dai frequentatori del proprio locale dopo di che deciderà se accodarsi alla massa o creare qualcosa che ancora non c’è ma che la gente richiede a gran voce.              

giovedì 4 agosto 2011

0 La poliziotta fa carriera (1976)

Classica commedia erotica anni 70’ con protagonista la giovanissima Edwige Fenech nei panni della procace Gianna, una ragazza che coltiva il sogno di diventare poliziotta. Grazie a più di una spintarella riesce ad entrare nel corpo di polizia manifestando fin troppa premura nel multare chi non rispetta la legge, mettendo nei guai anche il commissario che ha parcheggiato in sosta vietata e un onorevole che usa la macchina di rappresentanza per le sue sveltine. Un manifesto indecente dell’Italia, con mignottari, culattoni, magnaccioni e chi più ne ha più ne metta.

Quasi scontati i doppi sensi soprattutto sul prendere un fantomatico uccello che altro non è che un pappagallo scappato dalla sua gabbia e inutilmente rincorso per i tetti di Roma dal suo stralunato proprietario. E’ la stessa Gianna a incaricarsi di “prendere l’uccello” e qui ovviamente salta fuori tutto il succo del film: battute a sfondo sessuale, tette e cosce in bella mostra e maschi continuamente arrappati. Le uniche presenze femminili nel film sono oltre la Fenech, la moglie cornuta e le prostitute, perciò tirate voi le somme di come certi registi interpretavano il mondo femminile. E’ cambiato qualcosa nell’arco di più di 30 anni? Direi amaramente di no.

La Fenech è ovviamente doppiata e presenta un improbabile accento romanesco. Non è un talento ma del resto la sceneggiatura non è da premio Oscar perciò il compitino lo svolge a dovere con l’aiuto dell’immortale Mario Carotenuto (una colonna nel genere della commedia sexy) e dell’implume Alvaro Vitali.

VOTO 5,5    

mercoledì 3 agosto 2011

0 Dylan Dog 167–Medusa

Trama: Ely Edelgase è un’archeologa del soprannaturale (fotofobica) che sembra aver ritrovato la leggendaria testa di Medusa e lo scudo di Perseo, conservati ora a Londra all’interno di un laboratorio. I due reperti sono stati trovati nella zona della Grecia corrispondente all’antica Argo, nella cui piazza era stata sepolta secondo la leggenda sia la testa mozzata che lo scudo dell’eroe. La prima spedizione archeologica era scomparsa nel nulla, mentre appunto la seconda era riuscita a portare a compimento l’incredibile ritrovamento. Il particolare importante è che ad entrambe ha partecipato la Edelgase, unica testimone della prima misteriosa spedizione ma assolutamente incapace di ricordare cosa sia accaduto. In realtà i 4 membri della spedizione sono morti pietrificati proprio come racconta la leggenda: lo sguardo della Gorgone pietrifica chiunque la guardi negli occhi. La gente inizia a sospettare della stessa archeologa e Dylan inizia ad indagare su suggerimento di Bloch. Col progredire delle indagini si intuisce che qualcuno sembra volersi vendicare di Ely e per motivi che si svelano a poco a poco. In realtà la ragazza nasconde molti lati oscuri che verranno svelati in un finale rocambolesco.

Commento: Barbato e Brindisi hanno creato un numero strepitoso sotto ogni punto di vista. Spaziali i disegni come sempre ci abitua il buon Brindisi ma soprattutto geniale il soggetto con una rediviva Medusa che riporta all’attenzione di noi lettori il mito delle tre Gorgoni, mostruosi esseri femminili appartenenti alla mitologia greca e da sempre frutto di inquietudine e curiosità. A chi mai poteva venire in mente di trasformare Medusa in una creatura buona e semplice? Oppure il fatto che in realtà fosse una creatura sola e odiata persino dalle due sorelle, semplici comparse nel mito che racconta il terribile scontro tra Medusa e Perseo, l’eroe mandato ad ucciderla? C’è un grosso studio dietro questo numero e già questo meriterebbe una votazione altissima ma è proprio la poesia che sottende l’intera vicenda che mi ha apertamente e totalmente rapito. E’ raro trovarsi davanti a numeri così belli, gli unici esempi che mi sovvengono sono l’Angelo sterminatore e Johnny Freak, fulgidi esempi di come a volte un fumetto non sia solo carta e china.

Voto 10    

martedì 2 agosto 2011

0 L’allenatore nel pallone (1984)

L’allenatore nel pallone è considerato per antonomasia uno dei film preferiti dai fans di Lino Banfi ma anche dagli appassionati della commedia italiana anni 80. Ma evitando di far gli schizzinosi e guardando la pellicola con animo privo di nefasti pregiudizi si scopre un filmetto carino e simpatico con elementi di rarità, come per esempio le numerose apparizioni di calciatori e giornalisti dell’epoca, ora imbolsiti e decrepiti.

Sconvolgente a tal proposito Fabrizio Maffei, giovanissimo e con dei denti che definire marci equivale a fargli un complimentone. Ma non mancano neanche Bisteccone Galeazzi con una settantina di chili in meno o Ciccio Graziani con quattro peli in testa. Immagini d’epoca poi ci ricordano il calcio povero di quegli anni, tutto sostanza e pochi denari, onesto e emozionante.

Il film annovera tra i protagonisti anche la coppia nefasta formata dai bolognesi Gigi e Andrea, anch’essi sulla cresta dell’onda in quel periodo ma tutto sommato superflui ai fini della storia stessa. Due macchiette che occupano la prima parte del film che è decisamente la più pesante, retta solo da un Lino Banfi quasi annoiato da scambi di battute della peggior specie e dalla magnifica location brasiliana. La seconda parte del film è tutta improntata sullo svolgimento del campionato e sulle alterne fortune della Longorbarda allenata appunto dal pugliese Oronzo Canà (Lino Banfi), ideatore della celeberrima Bi-zona (5-5-5) con attaccanti e difensori pronti a scambiarsi i ruoli per mandare in confusione le squadre avversarie.

Mi è parso sconvolgente come un film datato 1984 presentasse degli argomenti così scottanti in questa estate 2011: presidenti di società pronti a far retrocedere la propria squadra (con la connivenza di calciatori disonesti) pur di non pagare le ingenti spese di giocare nella massima serie, allenatori schiavizzati, razzismo nei confronti di calciatori di colore, tentativi di combine e via dicendo. Insomma una vera chicca per chi il calcio lo segue con costanza e passione e giustamente si incazza per il malaffare del calcio italiano.

Insomma un film cult che merita una visione da parte di tutti gli estimatori di un certo tipo di commedia frettolosamente massacrata dalla critica ma entrata di diritto tra i best sellers della commedia all’italiana.

VOTO 6,5  

lunedì 1 agosto 2011

0 Fuori dal mondo (1999)

Fuori dal mondo come Caterina (Margherita Buy) una suora che ancora deve decidere se indossare per sempre l’abito sacro o come Ernesto (Silvio Orlando) proprietario di una lavanderia piena di debiti, burbero e cieco verso il mondo che lo circonda o come Teresa, disperata ragazza madre che decide di abbandonare al suo destino il figlio di una violenza domestica. Tre personaggi che intrecciano le loro esistenze per lo spazio di pochi giorni se non di pochi istanti in una Milano quasi invisibile.

Il film racconta una storia fatta di incertezze e dubbi ma anche di nuove possibilità per chi aveva ormai perso la speranza di innamorarsi ancora o di trovare la forza di sorridere e socializzare. Molto intensa la figura di Caterina, una suora che prima di tutto è stata donna e che sembra essere scappata alla vita secolare più per capriccio che per vera vocazione, tanto che appena un po’ di realtà la sfiora (un neonato al quale si affeziona appena il destino glielo pone tra le braccia) finisce per perdere le sue convinzioni e riflettere davvero su cosa vuole dalla vita. Non c’è dato sapere se continuerà il suo percorso di fede o prenderà una nuova direzione sebbene un fotogramma finale sembra presagire un ripensamento dell’ultimo minuto.

Sicuramente il personaggio che più mi è rimasto nel cuore è Ernesto, interpretato in modo come al solito magistrale dal sottovalutato Silvio Orlando, un attore che riesce sempre a colpire nel segno e a far innamorare di sé anche il più freddo spettatore. Il suo personaggio è quanto di più simile ci sia all’uomo che ha perso la fiducia nel prossimo e nella vita in generale, un uomo molto comune al giorno d’oggi. Ha rilevato la lavanderia del padre sebbene non gli interessasse granché, non conosce le sue lavoranti tanto da non saperne il nome, risponde in modo brusco a chiunque voglia avvicinarsi e soprattutto è schiavo dei tranquillanti. Ma un giorno l’ipotesi che possa essere diventato padre lo fa cambiare nel profondo e lentamente si apre al mondo, manifestando un nuovo interesse per la vita e per le donne. Bellissimo esempio di come a volte basti davvero poco, anche solo un’illusione o un progetto per riportare l’entusiasmo in anime fossilizzate nella rassegnazione di una vita al ribasso.

Voto 7

 

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