domenica 29 maggio 2011

0 La signora del venerdì (1940)

 La Signora del Venerdì è uno di quei film che ti rimette al mondo con quel suo pizzico di magia anni 40, con quel modo di recitare ormai perso nel corso di 60 anni di cinema (non sempre all’altezza ahimè). L’eleganza dei modi, i gesti misurati ma al tempo stesso nati da automatismi, penso solo al classico gesto di accendere una sigaretta, così eminentemente chic e quasi un marchio di fabbrica dei tempi.

I tempi sono cambiati, lo vediamo tutti. I film sono spesso ricchi di turpiloqui o volgarità spesso fini a se stesse. La mecca cinematografica hollywoodiana di allora invece (ma teniamo conto anche del perbenismo di quei tempi e della necessità di mantenere le apparenze) era capace di tirare fuori dal cilindro veri e propri gioiellini che non hanno temuto il passare dei tempi, sicuri del valore dei propri attori e di sceneggiature a prova di bomba (semplicistiche forse, ma sempre godibili). Ovviamente in questo caso parliamo di una classica commedia americana con protagonista un Cary Grant nel pieno del suo successo, anche se mi fa piacere sottolineare la presenza di Rosalind Russel, una protagonista con modi tutt’altro che antiquati, ma anzi quasi figlia dei nostri giorni con quel suo modo di fare così poco femminile. Una mattatrice in gonnella che oscura per buona parte del film il suo compagno di avventura, sicuramente più famoso.

Il film (che non è certo una colonna della cinematografia americana)racconta il mondo del giornalismo, sottolineandone i lati negativi: gli scoop spesso inventati, la vita senza orari dei cronisti, le notizie romanzate per far più presa sui lettori, e via dicendo. Ma la pellicola si sofferma anche sulle brutture del mondo della politica, capace di mazzette per assicurarsi una conferma alle elezioni e pazienza se ciò significa l’esecuzione di un innocente o di un malato di mente, incapace di intendere o di volere.

Un film strano, non del tutto commedia, non del tutto drammatico. Buono per un pomeriggio.

Voto: 6,5

venerdì 27 maggio 2011

0 Flash Gordon (1980)

 Trama: “Flash” Gordon, giocatore di football americano, giunge in modo rocambolesco sul pianeta Mongo, insieme alla giornalista Dale e allo scienziato Zarkov. Lo strano luogo è sotto il dominio del terribile imperatore Ming, intenzionato a distruggere la Terra e i suoi abitanti. I tre terrestri cercheranno di impedirlo in ogni modo, con l’aiuto della principessa Aura e dei principi Barin e Vultan.

Commento: questo film rappresenta un vero e proprio culto per gli appassionati del genere fantascientifico. A prima vista e soprattutto sotto l’occhio implacabile degli anni 2000, la pellicola parrebbe più un prodotto di bassa categoria che un gioiello della tecnica. Ma considerati i tempi, non si poteva pretendere di più di quello che è stato effettivamente fatto. Io ricordo che quando ero bambina adoravo vederlo e rivederlo il pomeriggio quando Rete 4 o Tmc si degnavano di riproporlo e ogni volta era per me una fiera di emozioni e di colori. La tutina rossa di Flash e l’uso del colore ottone un po’ ovunque mi rimandano chissà perché agli anni 80 e non posso che provare una gran nostalgia verso tempi più interessanti e creativi di quelli che stiamo vivendo. Perfino una rielaborazione in chiave cinematografica di un fumetto anni 30, riesce ad essere più credibile e godibile di quelle attuali ( vedi il poco successo di Thor). Certo i dialoghi sono scritti da un dilettante se non proprio da un idiota, ma il problema più grosso è ovviamente la produzione made in Italy (De Laurentis) che non riesce a portare il film all’eccellenza. Tanto è vero che rappresenta più un cult movie che un vero successo planetario. Ornella Muti è Ornella Muti in tutto e per tutto (e credetemi non è un complimento), e Mariangela Melato probabilmente si sarà vergognata come una ladra ma tutto sommato ne avrà avuto anche un ritorno economico perciò non stiamo a recriminare. A me comunque il film è risultato gradevole, ingenuo ma carino.

Voto: 7    

martedì 24 maggio 2011

0 Bad Boys (1983)

 Trama: Mike O’Brien (Sean Penn) è un adolescente con il vizio del furto. Figlio di una madre assente e costretto a fare il duro per poter sopravvivere nel suo quartiere, finisce per trovarsi implicato nella morte del fratellino di Paco Moreno, un suo compagno di scuola che trascorre la vita a spacciare e fare il bullo. Mike, viene sbattuto in riformatorio ed entra in contatto con una realtà più dura della vita al di fuori delle sbarre, una realtà in cui se ti pieghi sopravvivi ma se non ti abbassi al più forte rischi di morire o di diventare il nuovo capo della baracca. Nel frattempo Paco decide di vendicare la morte del fratello stuprando la ragazza di Mike, CJ, che prontamente lo denuncia. Il ragazzo finisce nello stesso braccio di Mike e ne approfitta per tentare di portare a termine la sua vendetta.

Commento: il film è datato e ciò è ben testimoniato dalla giovanissima età di Sean Penn, comunque fisicamente inconfondibile nonostante i suoi 23 anni. Se vi piacciono i film duri e spietati questa pellicola fa al caso vostro. Tutto esprime violenza e impotenza. La violenza di chi non conosce altro modo per esprimere il suo rancore verso una società che lo respinge e l’impotenza di chi vorrebbe seguire la strada giusta ma è costretto a difendersi per non morire ammazzato sul pavimento di un carcere. E’ il ritratto forse un po’ banale della vita in un riformatorio ma è anche un modo per mostrare ciò che non si vuole vedere. Un film vecchio ma attuale, fatto di guardie carcerarie che fingono di non vedere o che appoggiano i più violenti in modo che possano tenere tutto sotto controllo, pazienza se ciò implichi anche la violenza gratuita ai danni dei più deboli. La recitazione e la regia sono molto anni 70 80, con toni foschi e atmosfera claustrofobica. Dialoghi serrati, silenzi eloquenti e un gran numero di comparse portoricane e di colore, come se fossero le uniche etnie a macchiarsi di qualche crimine. I pochi bianchi presenti sono italoamericani, irlandesi o ebrei come nel più banale dei luoghi comuni targati USA.

Sean Penn ha la solita faccia da cattivo ma in questa pellicola recita la parte del ragazzo che seppur tardivamente cerca di tornare sulla carreggiata. Volendo essere cattivi si potrebbe aggiungere che si dimostra ancora piuttosto acerbo nel reparto recitazione ma è comunque in grado con quel suo viso così particolare di tenere sempre viva l’attenzione dello spettatore su di lui. Il resto del cast non rimane impresso.

Non ci sono grandi riflessioni da fare su questo film, bisogna guardarlo e apprezzarlo nella sua rudezza.

Voto: 7    

sabato 21 maggio 2011

0 Proposta indecente (1993)

Trama: David (Woody Harrelson) e Diana (Demi Moore) sono una giovane coppia di sposi, innamorati dai tempi del liceo. Lui è un promettente architetto, mentre lei lavora in un’agenzia immobiliare. Il sogno di entrambi è quello di entrare in possesso di un terreno vicino al mare che consenta a David di realizzare il suo progetto architettonico. La banca concede il prestito ma poco dopo David, a causa della crisi economica che travolge il suo settore lavorativo, perde il lavoro, trovandosi così con un ammanco di 50000 dollari da restituire immediatamente alla banca stessa, rimasta senza garanzie finanziarie da parte della coppia. A quel punto David, travolto da un’idea rischiosa, decide di dirigersi con Diana verso Las Vegas in modo da poter racimolare in poco tempo la somma richiesta. Giunti nella mecca del gioco d’azzardo riescono a vincere 25000 dollari che decidono di rischiare il giorno dopo, finendo per perdere tutto. Nel frattempo Diana viene notata da un ricco uomo d’affari, l’affascinante John Gage (Robert Redford), che invaghitosi della donna decide di dare vita ad una proposta indecente: scambierà 1 milione di dollari con una notte di sesso con Diana. La coppia sembra rifiutare, ma poi vinta dalla necessità contingente di dover pagare il debito e convinta che si tratti solo di una notte senza importanza rispetto ad una vita di benessere economico, accetta la proposta dell’uomo. Quella notte finirà ben presto per stravolgere le loro vite tranquille.

Commento: la critica non si è risparmiata su questo film, anzi di fatto l’ha demolito con la complicità (stranamente) di gran parte del pubblico. Devo dire che non mi trovo d’accordo. Io ho trovato la pellicola davvero godibile, con un buon ritmo e una regia sempre sul pezzo. Qualche critica è però doveroso spenderla sul cast. Diciamo che tra i protagonisti quello meno nella parte e meno in grado di creare vera empatia con lo spettatore è il veterano Robert Redford. Troppe plastiche, espressioni fisse e poco naturali, in generale poco credibile nelle vesti del seduttore, ma anzi più simile ad un vecchio zio con la tinta nei capelli. Harrelson non mi ha mai colpito come attore ma qui svolge bene la parte del marito insicuro che cede solo per compiacere la moglie, una moglie che già da subito si mostra neanche tanto nascostamente interessata alle avances di un uomo ricco e potente, così diverso dal suo fragile e sognatore marito. La formula del:

- Ti ho mai detto che ti amo?

- No

-..Ti amo

- Ancora?

- Sempre

sembra non funzionare più se non nello scontatissimo finale. Ma prima di arrivare al banale the end, abbiamo la fine almeno temporanea di un amore che mostra crepe pesanti troppo profonde da rimarginare. A cosa serve convincersi che sia facile dimenticare se è impossibile farlo? Il film compie la maggiore età proprio quest’anno e non posso nascondere che mostra ampiamente la sua appartenenza ai primi anni 90. La regia, gli abiti inguardabili della Moore, le sue pettinature, la voglia di stupire lo spettatore con contenuti per adulti che di fatto (a parte una o due scene) non esistono affatto…tutto fa molto 90 e per noi uomini e donne del 2011 tutto sembra forse un po’ troppo retrò. Si apprezza ancora Demi Moore, qui nel periodo d’oro della sua carriera cinematografica, ma si capisce anche che rappresenta una tipologia di attrice che ora non troverebbe tanto spazio nel grande schermo dei nostri anni 2000. Brava ma con poca personalità.

Il film in definitiva non rappresenta né una colonna portante del cinema del secolo scorso, né il peggiore dei film messi in circolazione. Aveva una buona idea di fondo ma con attori poco adatti, scelti più per il successo che stavano avendo in quegli anni più che per meriti reali. Vedetelo per quello che è…un film che mette in scena sentimenti molto umani come la gelosia, il sospetto e l’invidia.

Voto: 7       

giovedì 5 maggio 2011

0 Un mese al matrimonio…

Il matrimonio non è il mio ma di mia sorella ma fa lo stesso visto che sono più angosciata di lei

Sono a dieta e non è una novità. Sempre i maledetti 4 chili che non vanno via e mi domando come ca..o facciano le persone che devono perdere 40 chili.

Non riesco a trovare l’abito perché i fottutissimi negozi italiani non producono vestiti indossabili da donne che abbiano una taglia superiore alla 42. Anzi le taglie ci sono ma chissà perché quando te li misuri c’è sempre qualche difetto che ti fa apparire più obesa di quanto ti senti e la depressione aumenta in maniera esponenziale.

E i capelli? Non ci voglio pensare. Siccome solo la sposa prova le varie acconciature, il semplice invitato deve fare gli scongiuri perché il parrucchiere azzecchi la pettinatura o il taglio a meno di mettersi un sacco in testa per tutta la cerimonia e oltre (perché la vita sociale continua).

Insomma beati gli uomini

mercoledì 4 maggio 2011

0 Uman Take Control: schifezza o genialità?

Lunedì 2 Maggio è iniziata l’avventura degli 8 sfigati in tutine imbarazzanti. Ovviamente non essendo un’appassionata di Montalbano e dei Ris, ho deciso di farmi male e affrontare con animo disilluso la prima puntata di un reality privo di senso. Il giudizio già dopo i primi lentissimi 10 minuti si presentava pessimo: ritmo assente, concorrenti idioti, giochi da Buona Domenica antesignana e opinionisti inutili come un cercapersone nel deserto. Insomma un disastro salvato a malapena dal grandioso Mago Forrest e dalla sempre bella e simpatica Rossella Brescia. L’elemento interessante e allo stesso modo allarmante è stato il rendersi conto che persino i conduttori (solitamente abituati a condurre programmi comici di qualità) erano consapevoli della bruttezza del loro stesso programma e ciò non faceva che aumentare la sensazione di un flop annunciato e confermato dai dati d’ascolto del giorno dopo (inferiori al 10%). Come mai? La domanda sembrerebbe pleonastica ma in realtà merita una riflessione attenta per motivi che spiegherò più avanti. Oltre ai già citati difetti c’è l’incoerenza di trasformare un format che viaggia per lo più sul web in uno spettacolo televisivo. Non è concepibile la spesa di 1 euro per esprimere delle preferenze idiote come per esempio: chi vuoi che abbia la faccia dipinta come il colore della sua tuta? Sarebbe consigliabile continuare a far esprimere pareri gratuiti e immediati sul web, metodo divertente e accessibile a tutti. Tanto stiamo parlando di un target generazionale che si rivolge ai giovani, di certo non alla massaia di Voghera o all’ottuagenaria col televisore in bianco e nero.

Passiamo oltre. Nonostante la prima negativa sensazione di programma fatto coi piedi, ho deciso di farmi male concedendomi il colpo di grazia del live su mediaset video. Beh che dire il giudizio è cambiato considerevolmente. Oddio i concorrenti rimangono sempre quello che sono: ossia uomini e donne con un singolo neurone che gira a vuoto. Però diventa divertente vedere come si può ridurre la gente per uno scampolo di popolarità. Gente che piange perché non ha i suoi prodotti di bellezza o perché gli mancano le sigarette (prontamente concesse dalla produzione e Dio solo sa perché), gente che vomita dopo un pasto composto da misteriosi cibi frullati, gente che dorme sul pavimento finché da casa non concedono un letto (da montare). Insomma è un po’ la fiera del trash allo stato più puro ma fa passare il tempo a chi ha un’oretta da buttare, considerato anche il fatto che è tutto gratuito a differenza del Gf che concede la visione live 24 ore su 24 solo ai possessori di mediaset premium.

Insomma si tratta di una novità che potrebbe funzionare solo se concepita unicamente per il web lasciando da parte la televisione incapace di stare al passo con l’immediatezza di una semplice cliccata sul mouse. La pubblicità, i ritmi lentissimi, i presentatori inutili mediatori di un rapporto che già esiste tra spettatori e concorrenti, tutto questo ammazza la trasmissione e non le concede più di un mese di vita. Diciamo poi che tutto il meccanismo di gioco fa acqua da tutte le parti, l’assegnazione punti è misteriosa e quindi ciò che rimane è esclusivamente un Grande Fratello dei poveri, che si svolge in una stanza bianca con tappeto scorrevole e con gente pronta a sclerare da un minuto all’altro. Ci si può accontentare? Diciamo che in Italia siamo ancora lontani dal creare prodotti veramente immediati e ben fatti, non c’è voglia di sperimentazione e quindi ciò che viene fuori da un tentativo sopra le righe è un brutto compromesso tra un programma comico e un reality con pochi mezzi.

Da correggere quanto prima  

lunedì 2 maggio 2011

0 Ballando con le stelle

Ballando con le stelle 2011 è stata la trasmissione che mi ha fatto firmare un armistizio con la televisione italiana dei nostri giorni. L’ho seguito dalla prima all’ultima puntata senza avere mai un calo di attenzione ma anzi appassionandomi di sabato in sabato ai vari aspiranti ballerini e ai loro fantastici maestri.

Questa trasmissione è ciò che rimane dei grandi show che hanno fatto grande il panorama televisivo italiano ed è assurdo perché il suo successo dovrebbe spingere i vari direttori di reti pubbliche e private a liberare l’etere dalla volgarità, dalla finzione per riscoprire i valori di trasparenza e onestà ormai introvabili nella nostra società e nei mass media in generale. Ci siamo abituati agli opinionisti, alle liti create ad arte, alle soap opera spacciate per vita reale (ogni riferimento al Grande Fratello non è puramente casuale) che solo a tratti riusciamo a riavvicinarci ad una parvenza di umanità.

Milly Carlucci rappresenta la donna che non è scesa a compromessi, che ha sudato come poche e che è riuscita a superare tre decenni senza sparire mai del tutto, senza riciclarsi, senza sputtanarsi in un reality o su uno sgabello da opinionista. Molti non amano il suo stile ingessato perché lontano dalle logiche che vedono la donna presentatrice come una persona arrogante (Simona Ventura), ammiccante (la lista sarebbe impressionante), dittatoriale (Maria De Filippi) o ossequiosa nei confronti della maggioranza. Milly esiste da che ho memoria. La ricordo nelle trasmissioni estive della fininvest (per esempio Bellezze al bagno) e poi a Scommettiamo Che per tante edizioni, accompagnata da un Fabrizio Frizzi ancora credibile con quella sua faccia da sfigato e la moglie babbiona in prima fila. Certo la Carlucci non brilla per simpatia ma è vera, onesta, ci mette la faccia, non da adito a scandali, non si interessa di politica, ha idee che mette su un tavolo e che diventano successi con il lavoro e la fatica. La Mirigliani le ha tolto Miss Italia perché contraria all’idea che si trasformasse in un talent. La Mirigliani forse avrebbe ragione se non fossimo in un’epoca in cui è chiaro che le tizie che partecipano a Miss Italia non sono altro che aspiranti veline, che la ragazza della porta accanto non esiste più, che viviamo nel mondo delle Papi Girl e che l’acqua e sapone si usa solo per lavarsi le mani ormai.

Anche Paolo Belli è uno che ce l’ha fatta col lavoro e la pazienza. Era solo un ragazzo grassoccio con la passione per il jazz e i capelli lunghi tirati su in un codino anni 90 e adesso è uno showman che guida una fantastica orchestra. Stiamo parlando di meritocrazia signore e signori. Certo la fortuna conta, magari anche la spintarella ma se sei bravo la gente lo riconosce e se non vali niente nessuno ti ricorderà.

Questo post è solo un modo per esprimere la speranza che la televisione possa ancora darci modo di sognare, che si allontani del tutto dalla politica dalla cronaca dal gossip. Non vuol dire che preferiamo non pensare al marcio che ci tocca sopportare di giorno in giorno ma solo che la televisione è fatta per distrarre non per drogarci di parole, opinioni e manovre politiche atte a indirizzare i voti e le preferenze della gente.

0 El Brellin Milano

 

El Brellin è un bel ristorante situato nella zona dei Navigli, anzi diciamo pure che a colpo d’occhio si pone come il locale più caratteristico dell’intero quartiere. E’ ormai la quarta volta che decido di pranzare in questo fantastico frammento di una Milano che non c’è più e anche stavolta non posso che confermare la qualità elevata delle materie prime e l’abilità dello chef nel trasformare pietanze a prima vista semplici in portate da veri gourmet. Sono stata al Brellin praticamente in ogni stagione e col cambiare dei mesi ovviamente vi è anche un ricambio nel menu che conserva comunque quelli che sono i piatti tipici milanesi, ossia l’immancabile osso buco, il classicissimo risotto allo zafferano e la cotoletta alla milanese.

Stavolta la mia scelta è ricaduta sui fusilli alle zucchine e sulla cotoletta, il tutto accompagnato da un calice di ottimo rosso (Dolcetto delle Langhe). Il cibo era come al solito buono e genuino ma devo dire che il prezzo come al solito non corrisponde del tutto alla quantità e alla tipologia delle portate comparse sulla tavola. I fusilli con le zucchine in tutta onestà sono un piatto da trattoria alla buona considerato anche il fatto che si trattava di semplice pasta industriale e non fatta artigianalmente. La quantità andava benissimo tenendo conto del fatto che sono a dieta, ma per un comune essere umano sarebbe stato un aperitivo scarsissimo. La cotoletta era invece abbondante e accompagnata da un buon ma non indimenticabile tortino di patate. Il vino come già accennato in precedenza era ottimo ma ciò non giustifica del tutto il suo prezzo. Qualcuno mi dirà che a Milano tutto è giustificato, soprattutto i prezzi dei ristoranti tipici in zone turistiche ma io rispondo che non avendo esperienza di altri ristoranti in questa o altre zone del capoluogo lombardo, con tutta probabilità non è impossibile che si possa trovare qualcosa di altrettanto buono ma a un prezzo inferiore. Pagare 50 euro a cranio per un primo scarso, una cotoletta e un bicchiere di vino mi sembra francamente troppo considerato anche l’altra nota dolente di questo incantevole e prestigioso locale. Ossia la maleducazione e lo snobbismo imperante da parte dei camerieri, istruiti evidentemente a trattare con un’assoluta mancanza di rispetto i forestieri sprovvisti di accento straniero o di pedigree milanese e le persone vestite casual sportivo. La sensazione è stata questa e non è la prima volta. Non sono abituata a vestirmi col tacco e il tailleur per andare a pranzo, però i soldi per permettermi di mangiare in un ristorante di medio alto livello ce li ho e questo dovrebbe bastare a qualsiasi personaggio in livrea che mi serve a tavola con la puzza sotto il naso nonostante la divisa da porta vivande.

Il maleducato in questione ci ha fatto scegliere il tavolo senza neanche accompagnarci, ci ha mollato lì due menu dopo di che, neanche un minuto dopo è arrivato a prendere le comande nonostante avesse visto che ero al telefono, motivo per il quale sono stata costretta a spostarmi per non riuscire a sentire la persona dall’altra parte del telefono. Non sono abituata a parlare al cellulare in un luogo pubblico, anzi lo detesto ma trattandosi di una chiamata urgente ed essendo vuoto il locale (tra l’altro la veranda neppure l’interno del ristorante) non potevo non rispondere. Il modo sollecito di far mangiare me e la mia amica in modo veloce è continuato per tutto il pranzo. Non potevamo poggiare la forchetta che già il cameriere stava portando via tutto. Per tutto il pranzo poi abbiamo avuto il fastidioso giardiniere o chi per lui che toglieva le foglioline ingiallite dal pergolato ad un passo da noi impedendoci di avere la privacy che avrebbero meritato i 100 euro di spesa finale. Inutile dire che difficilmente tornerò in questo locale la prossima volta che capiterò a Milano.

Al proprietario consiglio una maggiore attenzione verso i clienti (che essi siano meridionali, cinesi, russi o africani) che meritano di essere trattati con il dovuto rispetto dalle persone incaricate del loro benessere dall’ingresso nel locale fino all’ultimo respiro tirato all’interno del perimetro del ristorante. 

 

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