lunedì 26 settembre 2011

0 La macchina nera (1977)

La Macchina Nera è un film horror o così sarebbe nelle intenzioni del regista. E’ sicuramente un film datato e ricco di situazioni ridicole, poco credibili ma senz’altro d’impatto per gli spettatori dei lontani anni ‘70. La storia è incentrata su una misteriosa macchina scura che uccide i poveri malcapitati che circolano per le brulle strade sterrate del Nuovo Messico: prima i due fidanzatini ciclisti, poi il suonatore di corno e infine i poliziotti che cercano di contrastarla e la donna che ha osato insultarla. Perché agisce in questo modo? Non c’è dato saperlo. L’unico indizio che abbiamo è che nessuno la guida e che non circola su territorio consacrato. Beh allora l’equazione è semplice: si tratta di una macchina demoniaca.

Una volta appurato questo, nonostante lo scetticismo del rude sceriffo basettone interpretato da un giovanissimo James Brolin, si decide di farla fuori con un carico di dinamite. L’impresa riesce e dall’esplosione salta fuori dalle fiamme la faccia nera del demonio, sconfitto da un manipolo di poliziotti scalcagnati e impauriti.

E’ un film dai dialoghi pessimi e da caratterizzazioni tagliate con la scure, neppure con l’accetta: poliziotto vedovo con figlie al seguito, poliziotto ex alcolista, poliziotto indiano. Tutto accade nel giro di 24 ore e tutto si risolve nel giro di un’ora e mezzo, con gli occhi a mezz’asta e la sensazione di aver visto un film fatto male. Certo, come non riconoscere il merito di essere il primo esempio di pellicola incentrata su macchine infernali? Ma nonostante ciò non è stato realizzato con cura in quanto il regista o lo sceneggiatore non si spreca a spiegarci il motivo per il quale la macchina è infestata e perché perseguita questo paese dimenticato da Dio. Non dimentichiamoci però che anche il più celebre “Christine la macchina infernale” (tratto dall’omonimo e pressoché perfetto romanzo di King) è una mezza cartuccia. Evidentemente gli anni ‘70 non erano ancora pronti per affrontare il genere horror da questa prospettiva così inusuale e questo ne è il risultato.

Comunque a mio modo di vedere la scena più divertente è quella in cui la fidanzata dello sceriffo viene fatta fuori dalla macchina mentre sta chiedendo aiuto al telefono di casa: un balzo di qualche metro e la macchina attraverso come se fosse burro l’intera dimora della donna. Ecco, il film si presta a tanta ironia così come ad un accostamento cattivo (almeno per i personaggi e per la location) a Walker Texas Ranger.

C’è di meglio in giro

VOTO 5

domenica 25 settembre 2011

0 The Stepfather–Il patrigno (1987)

Terry O’Quinn interpreta in modo magistrale e credibilissimo il ruolo del patrigno pazzoide Jerry, amante della famiglia perfetta ma pronto a trasformarsi in killer spietato quando il suo utopistico sogno della famiglia modello inizia a sfaldarsi. O’Quinn per chi lo non lo sapesse è Lock nel celeberrimo Lost e non si può certo negare che non ispiri un senso di inquietudine e diffidenza con quello sguardo apparentemente bonario ma capace di mutare nel giro di un fotogramma nello sguardo di un pazzo. Insomma il protagonista di questo cult movie (di cui esiste un sequel ed un remake) è stato scelto con cognizione di causa.

Io ho trovato la pellicola eccezionale, un ottimo thriller anni 80 con un’atmosfera spesso agghiacciante, alla quale contribuisce in misura notevole la location: classico paesino americano con ville vittoriane e cantine misteriose. Il sangue scorre a fiumi nei punti cruciali del film e non mancano varie sequenze ansiogene che ti spingono a urlare “oh dio noooooooo!!!” o a perdere un battito per il carico d’ansia. Certo gli effetti speciali sono assenti ed è questo che rende questo film così immediatamente piacevole e sincero, forse ridicolo per le logiche attuali ma assolutamente irresistibile per chi ama il genere thriller.

I personaggi sono come al solito stereotipati: la moglie è un invertebrato che si anima solo per cucinare e per concedersi la scopata serale, Stephanie la figlia adottiva è la classica teenager americana con le cuffie nelle orecchie e mezzo chilo di turbe adolescenziali che la costringono a continue sedute dallo psicanalista, Jerry è un uomo che a causa di traumi vissuti da bambino si è trasformato in un pazzo maniaco che tenta di costruire una famiglia perfetta che in realtà non può esistere se non nella sua mente malata, l’ex cognato che smuove il mondo per scoprire dove è andato a finire l’assassino dell’adorata sorella e una volta che si trova a faccia a faccia con lui muore (in modo piuttosto idiota) nel giro di un battito di ciglia.

Tutti cliché che personalmente mi incantano e mi catturano, sarà quell’atmosfera un po’ retrò o il ritmo sincopato, sarà la voglia di non tirarla troppo per le lunghe, fatto sta che metto questa pellicola tra le mie preferite nel reparto brividi e dintorni.

VOTO 8,5  

sabato 24 settembre 2011

3 Senza prospettive a 34 anni

Ho 34 anni e so che non avrò mai una pensione perché difficilmente troverò un lavoro. Di chi è la colpa? E chi lo sa? Potrei dire in modo piuttosto banale di Berlusconi e del governo di centrodestra che governa da quasi vent’anni in maniera imbarazzante questo Paese di raccomandati, puttanieri, mignotte ed evasori. Ma potrei aggiungere anche i politici locali che non fanno niente per i giovani e non più giovani che con le lauree in tasca bussano inascoltati a mille porte senza ottenere risposte confortanti: in questo momento non cerchiamo personale, sei troppo qualificato, non hai l’esperienza necessaria, questo concorso è rivolto a chi è già insegnante di ruolo, quest’altro ai precari parenti di qualche pezzo grosso, eccetera eccetera.

Un tempo ricordo che mi incazzavo da matti, mi facevo venire l’ulcera a furia di imprecare e gridare “INGIUSTIZIA” nel chiuso della mia stanza e nelle chiacchiere con amici e parenti. poi sono passata alle lacrime di rabbia e impotenza. Infine alla fase più pericolosa di tutte: la rassegnazione più totale. Qualche giorno fa ho mandato la mia candidatura alla Cepu, stanca di studiare per l’ennesima laurea in Beni Culturali che non servirà a un cazzo come quella in Lettere. Stanca perché la burocrazia italiana è talmente pessima che si dimenticano di convalidarti in via ufficiale gli esami giusti e ti viene voglia di mandare tutti a fare in c..o (se mi si perdona il francesismo). Ho 34 anni e leggo quotidianamente i siti di offerta lavoro, nonché il sito della Regione, del Comune, della Provincia e dell’università e ogni volta trovo bandi di concorso rivolti a gente che già lavora oppure a disabili, manovali, giardinieri e magazzinieri. Anche se volessi fare la muratorina o la giardiniera dovrei comunque avere maturato esperienza nel settore. Capite ora perché sono arrivata alla rassegnazione? Perché in Italia non si creano nuovi posti di lavoro, ma se ne liberano solo alcuni e per determinate categorie, di modo che chi non ha mai lavorato (non per scelta ma per impossibilità di accedere al mondo del lavoro) non lavorerà mai, né oggi né tra 20 anni.

Persino il servizio civile pone dei limiti, in questo caso di età in quanto non devi aver compiuto più di 28 anni. Io ne ho 34 perciò sono più che fuori target.

Ieri seguivo disgustata una trasmissione di Frizzi che beatificava il mondo della scuola e dell’istruzione italiana con la presenza non a caso della ministra Gelmini (una che per laurearsi è dovuta emigrare al sud alla ricerca di una facoltà più agevole). Parole ridicole, fasulle, lodi sperticate basate sul niente. Una riforma universitaria che ha creato un mostro a mille teste che per la maggior parte non portano a niente, visto che chi lavora in Italia non sono certo i laureati. Io che vengo dall’area umanistica dichiaro ufficialmente l’inutilità delle lauree in lettere, filosofia e beni culturali. Rimangono in piedi perché devono foraggiare il corpo docenti. Chi si laurea in Lettere non può neanche sperare di insegnare visto che hanno cancellato la SSIS, l’unico modo per entrare in una graduatoria e avere una qualifica. Inutile poi parlare della sperequazione tra Nord e Sud in fatto di università. Io sono fermamente convinta che al Nord le risorse le usino meglio che al Sud (dove si pensa a tutto tranne che a cercare l’eccellenza nell’offerta universitaria), prova ne è il fatto che Beni Culturali alla Statale di Milano sia una facoltà nettamente superiore (per organizzazione, corpo docenti, offerta formativa, chiarezza del piano di studi) a quella di Cagliari dove niente la distingue da Lettere, dove la prossima tassa che devo pagare è pari a quasi 400 euro (perché devo pagare il fio di avere già una laurea), dove per iscrivermi ad un esame devo ancora andare personalmente ad apporre la mia firma su un foglio sgualcito appeso ad una porta, dove hanno eliminato il mio indirizzo (archivistico biblioteconomico) un anno dopo che mi sono iscritta, dove non passa anno che non cancellino una cattedra con gravi conseguenze per il tuo piano di studi, dove non funziona niente ma dove tutti i docenti fanno finta che sia il massimo e imputano le eventuali mancanze ai tagli del governo. La cosa che più fa ridere è che durante le lezioni distribuiscono la scheda di valutazione del docente e ogni anno che passa non cambia niente nonostante molti giudizi siano stati più che negativi. Uno spreco di carta e di intenzioni che fa impallidire.

Sono senza lavoro, senza reddito e senza speranze. Ho una cultura sopra la media data da anni di studi universitari ma non mi serve a niente se non alla mia autostima personale. Ho una laurea, un master e quasi una seconda laurea e non basta.

Mi chiedo cosa ne sarà di me e non ho risposte confortanti.

martedì 20 settembre 2011

0 Dylan Dog 168–Il fiume dell’oblio

Trama: Simon, un istruttore di fitness, si rivolge a Dylan perché da qualche tempo sta avendo delle visioni inquietanti su omicidi di donne. Ciò che preoccupa maggiormente il ragazzo è il fatto che vede la scena attraverso gli occhi dell’assassino pur non avendo mai ucciso nessuno o comunque non ricordando di averlo mai fatto. Dylan decide di portare Simon da uno psicanalista per accertarsi che il suo non sia un problema mentale più che un fenomeno sovrannaturale. La dottoressa Robin lo ipnotizza e arriva alla conclusione che si tratta di un caso di suggestione frutto di letture o di visioni di film di serie b, ma Dylan non ne è assolutamente convinto e infatti Simon continua ad avere visioni tremende che non lo fanno più vivere tranquillamente. Dylan e Simon decidono così di mettersi alla ricerca dei luoghi visti dal ragazzo durante le visioni e riescono effettivamente a trovarne uno dove è seppellito lo scheletro senza testa di una donna morta una ventina di anni prima. Dylan chiama immediatamente la polizia e l’ispettore Bloch gli spiega che probabilmente la donna è una delle vittime del “tagliatore di teste” un serial killer che agiva negli anni ‘70 e che non è mai stato rintracciato. Dylan prosegue le indagini e grazie all’aiuto di Simon, che nel frattempo è in prigione accusato del recente omicidio (con decapitazione) della sua ragazza, riesce a scoprire che in realtà il tagliatore di teste è ancora vivo…

Commento: l’albo mi è piaciuto tanto, soprattutto mi ha colpito la ricostruzione dei fatti secondo una logica fantasiosa ma proprio per questo affascinante. Ricordi che vagano in un fiume di provincia e che si trasmettono ad un’altra persona attraverso le sue acque. Simon ha quelle visioni perché il fiume ha visto perdere la memoria del serial killer nel giorno in cui questi cadde nel corso d’acqua con la sua macchina e proprio in quel periodo, i genitori di Simon fecero l’amore nel fiume facendo da inconsapevole tramite tra l’assassino e il loro futuro figlio. Bellissimo. Ho apprezzato tutto, dal comparto grafico (più che discreta prova di Di Vincenzo) a quello creativo (un Medda in grande spolvero). La componente femminile è poca cosa nella trama e Bloch è particolarmente severo e intransigente rispetto al solito. Dunque un bel numero che riscatta delle brutte prove precedenti.

VOTO 7   

sabato 17 settembre 2011

0 City Hunter

Ho finito di guardare le 4 serie che compongono questo lunghissimo e famosissimo anime, tratto dall’omonimo manga che come spesso accade è ritenuto dai cultori nettamente migliore della sua controparte animata. Non posso esprimere un giudizio da questo punto di vista perché non essendo un’appassionata di fumetti nipponici preferisco evitare di esprimere opinioni in merito. Mi limiterò a parlare dell’anime.

Devo dire che ogni volta che veniva riproposto in televisione non ero mai attirata a guardarlo, soprattutto perché il genere poliziesco non mi appassiona, preferisco infatti generi più femminili quando si tratta di cartoni animati o piuttosto storie che hanno un filo conduttore che parte dalla prima puntata e arriva fino all’ultima. Gli anime con episodi quasi del tutto indipendenti gli uni dagli altri li trovo spesso pesanti e difficili da digerire, forse più adatti ad un target più giovane o maschile chi lo sa.

Comunque, di solito io faccio sempre la prova del nove, cioè seguo la prima puntata e poi stabilisco se continuare o meno. Ebbene, devo dire che il primo episodio di City Hunter mi ha molto colpito, in particolar modo per la bella caratterizzazione dei personaggi e dei dialoghi. Se non ricordo male, è forse uno dei pochi episodi della serie che abbia dei toni quasi del tutto foschi e seriosi, in quanto l’anime è noto soprattutto per le gag che vedono protagonista Ryo e Kaori, per le manie sessuali del primo e le martellate dell’altra.

Perciò ho iniziato a guardare questo cartone animato e devo dire che spesso mi sono divertita ma non sono mai arrivata a non poterne fare a meno. Anzi spesso l’ho trovato un po’ ripetitivo, con l’unico centro di interesse nell’amore non rivelato ma palese tra Ryo e Kaori. Comunque ho portato avanti la missione di completare ciò che ho iniziato e mi sono così potuta arrabbiare per la pessima svolta della terza stagione, momento in cui è cambiato l’intero comparto doppiaggio e dove numerosi cambiamenti (in peggio) hanno interessato anche il settore grafico. Questa è una situazione non nuova nel mondo dei cartoni animati ed è un peccato perché quando ci si affeziona alle voci dei vari protagonisti diventa arduo assimilare il cambiamento.

In conclusione, City Hunter non è il mio anime preferito ma gli riconosco il merito di affrontare in modo originale e piacevole il mondo della mala, dei complotti e dei principali temi del genere poliziesco. Carino anche perché c’è tantissima azione ma anche momenti divertenti e casalinghi. Insomma bello per molti ma non per tutti (soprattutto per le signorine).

martedì 13 settembre 2011

4 Disservizi Tiscali e maleducazione degli operatori

Oggi ho proprio voglia di farmi male perciò parlerò di questa azienda, nata per far incazzare anche il più pacifico degli esseri umani. Sono cliente Tiscali da quasi 10 anni e tutte le volte che ho avuto problemi di connessione ho dovuto sudare triliardi di camice per parlare con i fantomatici operatori celati dietro l’ingannevole numero gratuito 130. Chi è cliente come me sa benissimo che nessuno risponderà a quel numero perché è molto più conveniente per Mamma Tiscali spremere i soldi al cittadino dirottandolo verso il numero a pagamento, al quale per altro non è detto che qualcuno abbia voglia di rispondere. Io me li immagino questi stronzi che vanno a piangere per i contratti a termine, che poi quando dovrebbero lavorare si mettono a sorseggiare un caffè mentre parlano col vicino di postazione. Gente squallida che alla prima lamentela alza i toni o interrompe direttamente la chiamata. A me fortunatamente non è capitato ma in questo momento ho un’amica che ne sta passando di tutti i colori, visto che da quando si è abbonata a Tiscali ha potuto usufruire della connessione (e dell’uso del telefono) per soli 15 giorni. Sta combattendo dal 10 agosto per avere ciò che le spetta ma inesorabilmente si scontra contro l’incompetenza, l’indifferenza e la maleducazione delle persone preposte all’assistenza. La cosa mi fa veramente arrabbiare perché prima di sottoscrivere il contratto aveva chiesto tutte le assicurazioni del caso e non c’erano stati problemi: ovvio perché altrimenti dove li trovano i polli da spennare??? Tra le altre cose, un’operatrice in vena di confidenze le ha rivelato che CHI CHIAMA CON UN CELLULARE AL NUMERO A PAGAMENTO VIAGGIA SU UNA CORSIA PREFERENZIALE, che detto in parole povere significa che prima controllano e poi decidono se rispondere o meno.

Tiscali rappresenta l’immagine dell’Italia attuale, un Paese del terzo mondo dove mancano i servizi più banali, dove l’economia è stagnante, dove il cittadino è continuamente preso per i fondelli o derubato. Un tempo le aziende italiane erano affidabili, qualitativamente irreprensibili e attente verso i consumatori, ora invece siamo in pasto a questi squali che pretendono il pagamento sull’unghia di bollette che in realtà in molti casi ci dovremmo rifiutare di pagare. Penso poi a chi mettono a dialogare al telefono con i clienti: gente incompetente e maleducata, messa lì perché non ha trovato altro modo per guadagnare un tot al mese dopo la scoperta che la laurea non serve a niente. Non immaginiamoci gente esperta in informatica perché in realtà questi idioti fanno un semplice corsettino di affiancamento e poi vengono buttati in pieno oceano senza sapere gestire i problemi. A me fanno rabbia questi topi di fogna che fanno i loro sit in di protesta contro i contratti a tempo determinato e poi li vedi che non sanno lavorare.

Io personalmente mi sento di sconsigliare nel modo più assoluto la sottoscrizione di un abbonamento a Tiscali. Evitate di fare errori di cui sicuramente vi pentireste.

mercoledì 7 settembre 2011

0 Non è peccato. La quinceanera (2006)

Nella Los Angeles dei nostri giorni viene raccontata la storia di una comunità messicana che vive nel quartiere latino della città. Il titolo richiama una ricorrenza tipica del Messico, ossia il festeggiamento dei quindici anni di una ragazza, come fase di passaggio dall’età infantile all’età adulta. Magdalena, la cugina della festeggiata, è a pochi mesi dal compiere anch’essa 15 anni ma qualcosa rovina la festa tanto agognata: rimane incinta del suo ragazzo nonostante non ci sia stato un rapporto completo. Il padre di Magdalena, il predicatore della comunità, la caccia via di casa come peccatrice e lei è costretta a trovare rifugio a casa del vecchio zio Tomàs, dove già vive suo cugino Carlos, gay e perciò ripudiato dalla sua stessa famiglia. I tre riescono a vivere in una pace perfetta nonostante Magdalena venga lasciata persino dal suo ragazzo, un vigliacco che preferisce non deludere i genitori piuttosto che prendersi le sue responsabilità. Purtroppo un giorno i tre sono costretti a trovare una nuova sistemazione perché il proprietario di casa per ritorsione e gelosia nei confronti di Carlos (che aveva iniziato una relazione clandestina col suo compagno) li sfratta senza pietà. Zio Tomàs non riesce a sopportare il dolore di abbandonare la casa dove ha vissuto per trent’anni e muore all’improvviso lasciando un grande vuoto nei due ragazzi e nel quartiere. La sua morte però porta ad una riconciliazione e ad una reintegrazione di Magdalena e Carlos nella comunità che finalmente riconosce i propri errori.

Il film è commovente e a dire il vero fa anche un po’ incazzare. La società descritta esiste veramente, in quanto è notorio che i latino americani hanno una fede talmente accecante e un senso dell’onore così grande che vedono come peccato qualunque comportamento possa arrecare danno e vergogna alla propria famiglia. Come del resto capita ancora nel nostro Meridione e nei paesi islamici. Fa paura e rabbia pensare che una ragazza appena adolescente venga sbattuta fuori di casa perché è rimasta incinta e che un ragazzo sia preso a pugni dal suo stesso padre perché è gay. Nonostante questo però loro riescono ancora a sperare e a lottare per sopravvivere anche senza coloro che li hanno messi al mondo per poi ripudiarli. Una pellicola dura e veritiera, fatta di pettegolezzi e malelingue, di ricchezza esibita e povertà malcelata, con i parenti ricchi che fanno l’elemosina ai parenti meno fortunati per avere un’occasione in più per mostrare i propri soldi all’intera comunità.

VOTO 9   

martedì 6 settembre 2011

0 Sex Movie in 4d (2008)

Ian è un timido diciottenne che non ha mai fatto sesso e siccome in America la cosa sembra essere di un’importanza capitale, entra in una spirale di crisi da cui è difficile uscirne. Certo non lo aiuta il fatto di avere un fratello minore già iniziato al sesso e un fratello maggiore con l’ormone sempre in palla e l’odio per i gay. L’unica valvola di sfogo è un rapporto online con la misteriosa e sexy Miss Piaciona che vive però a 9 ora da lui. A questo punto il suo migliore amico Derek (un orrendo ragazzo con gli occhiali ma grandissimo scopatore di donne di qualunque taglia) lo spinge a prendere in prestito la macchina del fratello e andare a trovare l’intrigante ragazza che realizza virtualmente le sue fantasie. Al viaggio si unisce anche Felicia, migliore amica di Ian dai tempi dell’infanzia, da sempre innamorata non corrisposta di Derek. Durante il percorso i tre vivono esperienze di ogni tipo, compresa una festa in un villaggio Amish e una notte in prigione, fino all’apoteosi finale di cui è meglio non svelare i particolari.

La commedia è fresca e bevibile come una bella bibita ghiacciata in un giorno afosissimo. So che esiste un numero imprecisato di film americani che hanno come tematica principale l’iniziazione al sesso di giovani nerd ma qui ci troviamo davanti ad un buon prodotto dove la volgarità c’è ma non disturba più che tanto. La visione di genitali ogni due per tre è un po’ esagerata e infantile ma non si può pretendere da un teen movie come questo uno stile raffinato. Diciamo che la volgarità va scemando dalla metà del film in poi fino a lasciare spazio quasi a un che di romantico.

Credo che non avrei mai pagato per vedere una pellicola di questo tenore ma per un pomeriggio in casa il sacrificio non è così oneroso. Ripeto, la pellicola è passabile e a volte si arriva persino a ridere apertamente, quindi promosso.

VOTO 6,5 

domenica 4 settembre 2011

0 L’apparenza inganna (2000)

Da qualche anno sono giunta alla conclusione che i francesi siano diventati dei veri maestri nel genere commedia, proprio loro che per tanto tempo ci hanno fracassato gli attributi con quei film minimalisti e drammatici, degni di nota solo per le numerose scene di sesso.

E invece….guarda qua che commedia ti serve su un piatto d’argento Monsieur Francis Veber: la storia di un impiegato considerato da tutti un mattone che per non perdere il lavoro si finge gay, riuscendo in questo modo a diventare polo di interesse per tutti coloro che prima lo avevano disprezzato o peggio ancora ignorato. Come sintetizza lui stesso verso la fine del film “da quando sono gay ho finalmente imparato ad essere uomo”. Bellissimo no? Una di quelle massime che solo un omosessuale può veramente capire.

Il ragionier Pignon è interpretato da un fantastico Daniel Auteuil che riesce con una naturalezza incredibile a interpretare un gay senza farne una macchietta. Pignon è un uomo timido e se sei timido in un mondo di squali è come rischiare di morire dilaniato ad ogni giro di lancetta. E’ separato dall’amatissima (e stronzissima) moglie da ben due anni ma non riesce a smettere di pensare a lei, tanto da chiamarla in continuazione e ad averne come risultato un telefono che squilla costantemente a vuoto perché dall’altra parte non hanno voglia di parlare con il solito “mattone”, definizione che gli è stata elegantemente affibbiata sia dalla ex moglie che dal figlio adolescente. Il giorno che arriva la notizia dell’imminente licenziamento, Pignon decide di farla finita buttandosi dal balcone di casa ma lo salva in extremis il suo nuovo vicino, che sentita la sua storia, gli propone di fingersi gay per evitare il licenziamento. Prepara per lui un fotomontaggio dove si vede Pignon a culo scoperto mentre flirta con un maschione in pelle nera in un locale equivoco, dopo di che invia il tutto all’azienda di Pignon. Il presidente ovviamente non se la sente più di licenziarlo e lo reintroduce in azienda mentre nel frattempo le foto circolano creando molto clamore e reazioni inaspettate da parte dei colleghi di Pignon. In breve tempo quest’ultimo riesce a creare intorno a sé un’attenzione e un interesse mai avuti prima, diventando più sicuro e riuscendo finalmente a conquistare anche suo figlio dopo che questi lo vede sfilare ad una parata del Gay Pride. Padre e figlio si godono così una canna insieme mentre mangiano i loro classici spaghetti alla piratesca, mai stati così buoni in tanti anni di triste monotonia. Nel tripudio finale Pignon riesce persino a innamorarsi di nuovo ma di una donna diversa e meno rigida, una sua collega di lavoro che riesce a fargli dimenticare la moglie, liquidata in un memorabile pranzo al ristorante.

Questo film insegna a tutti coloro che realizzano commedie, soprattutto ai registi italiani, come si possa creare una pellicola sull’omosessualità senza scadere nelle classiche volgarità o luoghi comuni. Si ride e ancor più spesso si sorride, ma meglio ancora si gode di 90 minuti di ottima recitazione (tra cui un sorprendente Depardieu, nei panni del collega macho che odia i gay ma che finisce quasi per innamorarsi di Pignon) e di tanta eleganza.

VOTO 9  

 

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