sabato 21 marzo 2015

0 Il mondo delle palestre

La mia esperienza nel variegato mondo delle palestre inizia due anni fa in conseguenza della più banale delle situazioni che può capitare ad un essere umano: la fine traumatica ma fisiologica di una lunga relazione. I sintomi erano quelli classici: disperazione totale, occhiaie nere, fisico di merda e tenuta d'ordinanza (pigiama h 24). Nel dubbio se spararmi o tornare ad una parvenza di vita propendo per la seconda ipotesi e con fare circospetto mi avvicino alla palestra del quartiere, quel luogo che per anni ho guardato con quel misto di commiserazione e disinteresse che solo una persona in perfetta forma e in pace con se stessa può provare. Entro, mi informo e poi mi lancio nella cosa più ridicola che potessi fare ossia l'iscrizione al corso di zumba. A volte mi chiedo se in quel periodo avessi il quoziente intellettivo di una penna biro. Soprassediamo. Basta dire che dopo due mesi di coreografie degne di quelle finissime pizzerie dove si ballavano i balli di gruppo, decido che è abbastanza. Comunque alla fine della fiera non avevo conosciuto nessuno, erano tutte donnine stronze che facevano a gara per catturare l'attenzione del maestro, un grezzissimo nano con tatuaggi ovunque e simpatico come un calcio in culo. 
Mi iscrivo in palestra. Il primo giorno pensavo di morire. Capirai, non facevo un addominale dalle superiori e il massimo peso che avrò portato (fino a quel momento) sarà stata una bottiglia d'acqua mezza piena. Non rinuncio e vado avanti. Fatto sta che mentre affrontavo questa roba masochista per scrostarmi di dosso la sensazione di essere un cadavere, capivo che quel mondo non era per me. Innanzitutto le mie motivazioni iniziali erano sbagliate, ossia la speranza di conoscere il più in fretta possibile qualche altro essere umano. L'ambiente prima di tutto non era dei migliori, anzi diciamo che faceva letteralmente cagare: età media dai 16 agli 80 anni saltando letteralmente la mia categoria di appartenenza (30-40), il gestore uguale ad Hitler ma più sanguinario, un salottino iniziale che era il covo delle malelingue (passare davanti significava farsi soppesare dalla radice dei capelli alla circonferenza del culo). Un disastro insomma. Eppure ho resistito, stoica fino alla fine.
Il mio masochismo però non ha confine e infatti ho partecipato a tutte quelle merdosissime pizzate di gruppo dove va sempre a finire che ti trovi seduto tra gente che non ti calcola di striscio o che parla del nulla e tu che annuisci contando i minuti che ti separano dal prendere la porta e tornartene a casa. L'intento era sempre quello di conoscere qualcuno. Ero malata di conoscenza come se ne dipendesse la mia intera vita. Non capivo (e per certi versi non lo capisco neanche ora) che la palestra non è il luogo adatto per questo genere di cose. 
Alla fine i frequentatori sono sempre gli stessi: quelli che sono malati di fitness, solitamente maschi (spesso puzzolenti da far paura), donne di una certa età che si vogliono tenere in forma e la gente che non ci ha un cazzo da fare o che si iscrive con la speranza di conoscere nuova gente. 
Di solito non saluta nessuno, tutti dritti verso gli spogliatoi e poi verso le schede per iniziare l'allenamento, sorrisi zero e simpatia a palla proprio. Certo, poi a furia di andare la gente la conosci, ci scambi due parole, magari un numero di telefono e un'uscita ma poi alla fine raramente trovi qualcuno di davvero interessante. Magari sono stata sfigata io, non lo so, ma ho collezionato tante di quelle fregature da poterne scrivere un libro. 
La palestra è un microcosmo dove circola una fauna eterogenea e spesso falsa, dove tutti quelli che ti parlano ti sorridono, annuiscono al momento giusto, ti fanno credere di essere degli amiconi ma in realtà spesso e volentieri nascondono tanta di quella ipocrisia dentro che non si può credere. 
Sarà strano ma quando ho smesso di cercare di conoscere gente e mi sono concentrata sugli obiettivi da raggiungere in termini di peso e massa muscolare ho iniziato a conoscere un sacco di persone. Non tutte persone genuine naturalmente (molte incomprensibili) ma alcune davvero speciali. 
Il mio consiglio per chi decide di iscriversi in palestra è quello di pensare prima di tutto ai propri obiettivi e molto secondariamente ai rapporti sociali perchè nessuno viene lì per conoscere voi ma unicamente per le proprie esigenze (esattamente come voi). Se il vostro obiettivo è quello di innamorarvi non so sino a che punto la cosa sia fattibile visto che rappresenterete sempre due ore (scandite per tre giorni di allenamento) nella vita di una persona che ha già una sua vita. Se siete furbi eviterete come la peste la possibilità di un flirt all'interno di quelle mura perchè se dovesse andare male sarà tremendamente imbarazzante incrociarsi più volte alla settimana per gli angusti spazi di una palestra di quartiere. 
Infine: divertitevi, non prendetevi mai sul serio e date di voi il minimo indispensabile perchè se qualcuno avrà piacere di conoscervi meglio vi vorrà vedere al di fuori di quei 200mq e non vi relegherà a quelle tre ore settimanali. Allora si parlerà (forse) di amicizia o interesse genuino, altrimenti passate oltre, ne va della vostra autostima...    
         

mercoledì 4 marzo 2015

0 Agente 007 Vivi e lascia morire (1973)

Il film è il primo dei sette che vedono protagonista Roger Moore nei panni dell'agente segreto più famoso e amato del mondo: James Bond. Partiamo dal fatto che io ritengo che il miglior Bond sia stato Sean Connery, con quell'aria strafottente, seducente e dannatamente sicura di sè. Al secondo posto piazzo Daniel Craig che è riuscito a svecchiare la serie e allo stesso tempo a dare nuova linfa vitale al suo personaggio, ormai quasi danneggiato da interpretazioni che lasciavano molto a desiderare (Timoty Dalton e Pierce Brosnan). Tornando a Roger Moore e a questo film MOOOLTO anni 70, devo dire che il mio commento a caldo è stato un sorriso di commiserazione. Non so se sia solo una mia impressione ma a me il sir Moore mi ha sempre dato l'idea di un nonnetto anche alla giovane e contenuta età di 30 anni. Sarà la pettinatura, sarà quell'espressione da bassethound dallo sguardo ceruleo, sarà quel beige nell'abito, fatto sta che in me ha sempre suscitato più pena che ammirazione. Se negli 007 di Connery la chiave ironica era un elemento presente ma non predominante, nei film interpretati da Moore diventa l'unico elemento presente a scapito dell'azione e della suspence. Per carità in questo film sono presenti scene veramente divertenti ma forse un po' troppo per il genere spionistico. Mi riferisco soprattutto al modo in cui Bond scappa dai coccodrilli, a tutta la sequenza ridicola con protagonista lo sceriffo e infine alla morte dei due ultimi nemici. Passando alla trama, io non ho capito praticamente niente tranne il fatto che al centro ci fosse traffico di droga. E' chiaro che è predominante l'influsso del genere di cui ora mi sfugge il nome che vede al centro della scena solo attori di colore e che era molto in voga proprio negli anni 70. Da annotare anche la presenza davvero poco pregnante di Jane Seymour la signora del west che in questo caso svolge il ruolo di Bond Girl.   

venerdì 13 febbraio 2015

3 Mr Mercedes - Stephen King

Stephen King è il mio scrittore preferito da quando avevo 14 anni ed è proprio per questo motivo che da Lui (uso il maiuscolo per rispetto ma soprattutto idolatria) mi aspetto sempre il massimo. 
Veniamo al dunque: Mr Mercedes è molto lontano dagli altissimi standard al quale Stevy mi ha abituato in questi 24 anni di lettura appassionata. Questo romanzo si inserisce in quel genere poliziesco chiamato hard boiled, un filone giallo di cui non so niente e di cui potevo fare a meno visti i risultati. Intendiamoci subito, Mr Mercedes è un romanzo scritto bene, scorrevole, strutturato con logica e raziocinio, ma a mio gusto personale risulta anche piuttosto freddo, elementare in molte sue parti e con personaggi piuttosto piatti oltre che troppo stereotipati. Abbiamo il piedipiatti in pensione che medita il suicidio davanti ad un piatto di maccheroni surgelati, il giovane ragazzo di colore educatissimo e studioso, la donna squinternata che in realtà è un genio del computer e la bella bionda con cui il protagonista finisce a letto. Per molti lettori questi non sono propriamente personaggi stereotipati ma lo sono per chi come me conosce a menadito l'intera bibliografia di King: l'uomo che fa i conti col suo passato c'e sempre (e riesce spesso a riscattarsi attraverso un'impresa all'inizio impossibile da realizzarsi), il giovane brillante pure, il personaggio strampalato che in realtà è un genio anche. Cioè è tutto già letto, già visto, già apprezzato. 
Passiamo alla storia: un killer schizzoide eccitato dall'idea di ammazzare gente continua a stuzzicare il poliziotto che non è riuscito a metterlo dentro dopo la prima strage. Indagini. Indagini. Indagini. Soluzione finale. Zero colpi di scena. Insomma un libro come un altro che non aggiunge niente nella letteratura attuale. King in passato ha sempre cercato di cimentarsi in generi diversi dai suoi e i risultati sono stati a volte grandiosi a volte mediocri. E' giusto che uno scrittore sperimenti ma penso che dietro ci debba sempre essere una forte idea iniziale che possa poi concretizzarsi in qualcosa di almeno vicino all'accettabile. 
A me sto romanzo mi ha annoiato, non mi ha appassionato per niente e lo dico con molta amarezza visti gli ottimi risultati raggiunti con gli ultimi suoi lavori, come per esempio Joyland, romanzo semplice ma di rara piacevolezza.
VOTO 6

mercoledì 11 febbraio 2015

0 Sanremo 2015. Opinioni sparse

Innanzitutto grazie a Cristiano Malgioglio per aver ricordato il titolo della canzone da cui hanno attinto a piene mani gli autori della canzone di Chiara Galiazzo: Forse sì forse no di Pupo. Parlare di plagio è dire poco. Io mi vergognerei ma va beh saranno problemi della gallina padovana (ieri di giallo canarino vestita).
Torniamo al Festival. Non so se mi è piaciuto, diciamo che tante cose mi hanno lasciato di stucco come era capitato ai tempi della conduzione da incubo dei "figli di". Parlerei di errori di inesperienza più che di un brutto Festival. Partirei dalla scelta sbagliatissima del dietro le quinte iniziale: dieci minuti con un taglio più moderno sarebbero stati più che sufficienti per lo spettatore medio anche perchè ci aveva già pensato Sorrisi e Canzoni a renderci edotti sul significato delle canzoni in gara. Insomma uno smarronamento di quaranta minuti di rvm è stato già un bel colpo alle parti basse ma passiamo oltre. 
L'inizio vero e proprio ci ha mostrato l'ennesima scenografia scurissima che ormai va per la maggiore ( mi sa che sono l'unica a rimpiangere i fiori e i colori pastello dei tempi di Baudo). Invece le rapide ma impietose carrellate sugli spettatori della platea hanno messo in mostra molti uomini con maglioni, jeans e mocassino (tipo concerto di Nino d'Angelo), donne con pinze nei capelli o con scollature vertiginose e un'età media prossima ai 70. Insomma diciamo che l'abito e il papillon non sono più un imperativo categorico, basta pagare e ti accettano anche in ciabatte e vestaglia.
Passiamo alla conduzione: Carlo Conti è stato un buon padrone di casa anche se si capiva che non aveva per niente esperienza in fatto di dirette lunghe e spesso imprevedibili. Ha avuto culo che non gli sono capitati gli operai di qualche fabbrica, o il disoccupato che minaccia di buttarsi dalla piccionaia o qualche femen con le tette al vento. Emma Marrone che immaginavo con uno stile simile ad un camionista in trasferta è stata invece brava e semplice al contrario di Arisa che ho trovato scazzata, priva di reggiseno e incapace di leggere una frase senza incasinarsi. L'amante di Raul Bova non pervenuta. 
Le canzoni non sono quei fenomeni da hit parade che aveva preannunciato Carlo Conti. Alcune sono carine (Alex Britti, Annalisa, Ayane) altre sono insapori (talmente tanto che non mi ricordo neanche chi le abbia cantate), alcune copiate (Chiara), altre hanno deluso parecchio le mie aspettative (Gianluca Grignani). Se avessi un fratello che canta (male) come Nesli anche io non gli parlerei più (mollare il rap per il pop è qualcosa che non si può davvero perdonare).
Tra gli ospiti il vero trionfatore è stato Tiziano Ferro. E' stato talmente bravo e coinvolgente che pensare di dover sentir cantare qualcun'altro dopo di lui è stato come inghiottire un lassativo a lento rilascio. Alessandro Siani non ha fatto ridere nessuno a quanto pare ma scusate a me un sorriso l'ha strappato quando ha chiesto al bambino se entrava nella sedia (mai far battute sul peso non sia mai).
LE COSE VERAMENTE ORRENDE SONO STATE DUE:
1) La famiglia neocatecumenale con 16 figli col padre (uno sfigato pazzesco che uno si domanda come abbia fatto a trovare una donna e successivamente a capire dove inserire il Walter) che continuava a ripetere che i figli erano arrivati grazie alla provvidenza e a Cristo. Questa scena avrà anche fatto felice la Cei, i democristiani e i bravi cattolici italiani ma a me ha fatto solo cagare.
2) Il finale con Carrozzone di Renato Zero per ricordare i cantanti defunti. La tristezza si è impossessata della mia persona e una certa inquietudine ha aleggiato tra le mie stanze. Insomma un requiem al confronto sarebbe stato equiparabile al trenino di Capodanno.
 
 

0 Albano e Romina a me fanno tristezza

Albano e Romina hanno sempre suscitato in me un misto di ribrezzo e attrazione. Ribrezzo per tutto il tempo che sono stati marito e moglie e attrazione dal momento in cui hanno iniziato a scannarsi. Ora che hanno firmato un furbissimo armistizio per ragioni chiaramente economiche scatenano in me un sentimento nuovo, la pena. 
Ieri, come credo mezza Italia, ho guardato con curiosità la loro performance sul palco di Sanremo e mi sono passati per la testa mille pensieri diversi, tipo: ma quanto sono diventati obesi? oppure: ma quanta autostima puoi avere nel dire una simile cazzata "ogni volta che la baciavo rimaneva incinta"? Passeranno gli anni ma Albano resterà sempre il figlio della terra che l'ha generato (e per terra non intendo la Puglia ma proprio la terra coi vermi, le radici e le patate). Un contadino settantenne lo riconosci ovunque: battute triviali, amore per il vino, mani grosse e considerazione zero per la donna. Non è che Albano è diventato così dopo che la signora Power ha deciso di lasciarlo, è proprio nato così ed è questo che mi ha fatto ricordare perchè questa coppia mi ha sempre procurato coliche intestinali. 
Ero bambina e guardavo il Festival con i miei. Primi anni 80, quindi gli anni d'oro della celebre coppia. Lei bellissima e afona, lui brutto come uno scarafaggio e arrogante anche nel modo di cantare. Lei sempre incinta o quasi. Lei che lo guarda con un amore quasi stomachevole, lui concentrato solo sull'ennesimo acuto. Copertine di giornali, interviste, video e ogni volta lei con lo sguardo sempre più sottomesso e lui con un atteggiamento sempre più glaciale. Mi chiedevo dall'alto dei miei dieci anni come fosse possibile che una bella donna figlia di un grande attore hollywoodiano potesse accettare una vita da reclusa in quel di Cellino San Marco, una vita a farsi ingravidare e a dare la tetta all'ennesimo figlio tra un tour e l'altro. 
Poi la tragedia della figlia scomparsa nel nulla. Ed è lì che secondo me le differenze si sono viste: lui ha fatto il pragmatico, cinico figlio della terra e lei si improvvisamente ricordata che la vita forse non era fatta solo di canzoni stucchevoli e biberon. Lei ha continuato a credere (come farebbe ogni mamma del mondo) e lui le avrà dato dell'irrazionale o dell'idiota. CRAC. 
MAGIA: la favola è finita e inizia il film dell'orrore. Lancio di coltelli, accuse infamanti, lui che ingravida la Lecciso con uno dei suoi baci da vero inseminator, Isola dei Famosi, interviste a Chi per ribadire che LUI NON AVREBBE MAI LASCIATO ROMINA (ma nel frattempo una scopatina qua e là non se l'è negata) e brutte canzoni.
DOPPIA MAGIA: i due ormai a corto di contanti e in cerca di un ritorno di immagine decidono di sotterrare l'ascia di guerra per un mega concerto in Russia. Il resto della storia lo conosciamo.
La cosa che più mi fa pena e tristezza è l'assoluta mancanza di credibilità di due che cantano canzoni che ormai non significano più niente.   

martedì 3 febbraio 2015

1 Darkman (1990)

L'ho ammetto: ho una passione smisurata per Sam Raimi perciò questa sarà una recensione molto di parte. Ammetto anche il peccato mortale (per un fan) di non aver mai visto prima di adesso questo film che credo tra 'altro non passi in televisione da tantissimo tempo. 
La storia è semplice: Peyton (interpretato in modo direi magistrale da Liam Neeson) è uno scienziato che cerca di riuscire nell'impresa titanica di creare dal nulla pelle artificiale per aiutare coloro che sono stati vittima di ustioni e ferite gravi. Il suo progetto va in fumo quando una banda di delinquenti (interessati a delle particolari carte presenti nel suo laboratorio) uccidono il suo assistente, bruciano la sua casa e infine lo immergono nell'acido. Tutti lo danno per morto ma in realtà egli è sopravvissuto anche se orribilmente sfigurato. Un centro ospedaliero decide di recidergli i nervi causa del dolore ma facendo questo sviluppano in lui una rabbia quasi animalesca che supplisce in parte alla mancanza di sensazioni fisiche. Peyton recupera gli strumenti del suo laboratorio e continua nei suoi esperimenti fino a riuscire ad ottenere una pelle artificiale che però ha una durata massima di 99 minuti. Grazie alla creazione di nuove facce (divertente e anche incredibilmente futuristica l'idea di una sorta di stampante 3d che solo ora negli anni 10 del 2000 stiamo imparando a conoscere per davvero) Peyton si crea nuove identità per vendicarsi di chi l'ha ridotto a quel modo.
Questo film è un gran film nonostante la critica al tempo l'abbia demolito catalogandolo fra le scadenti pellicole di serie B. Certo, il realismo non è il suo forte ma cosa vogliamo dire degli stupendi effetti speciali (mi riferisco soprattutto alla sezione trucco), dei rocamboleschi inseguimenti, del pizzico d'ironia che è marchio di fabbrica di Raimi, della struggente disperazione di un uomo solo che non sarà mai accettato dalla società a causa delle sue orribili ferite?? 
Bisogna calarsi nell'epoca in cui questo film ha visto la luce e ritrovare quell'ingenuità che abbiamo perso per strada a causa degli enormi progressi compiuti dalla tecnica cinematografica. E' ovvio che ora tutto ci sembra ridicolo e poco realistico ma è grazie a registi pionieri come Raimi che si è giunti ai risultati strabilianti dell'epoca attuale.
Da riscoprire
VOTO 7   
 

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