venerdì 30 aprile 2010

11 Asociale di natura

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Non mi piace la gente e di conseguenza non piaccio alla gente. Tra me e la persona più sfigata del pianeta la scelta ricadrebbe sempre sul Nerd perchè io ho l’espressione tipica di chi ha il cazzo girato a manovella, sono nervosa e poco socievole…diciamo un orso con un unghia incarnita e un attacco di insonnia all’inizio dell’inverno. Sono così da sempre e non è che me ne vanti, diciamo che è una realtà di cui tenere conto e che qui spudoratamente ammetto. Non sono mai stata la classica nipote, cugina, pronipote dal bacio facile, tanto è vero che ai parenti o sto sul cazzo o proprio non mi vedono…il che è un bene visto che i legami di sangue, di questi tempi, valgono quanto una pisciata nella neve (n.d. Stephen King). Nella vita scelgo o il bianco o il nero, non mi piacciono le vie di mezzo e se mi piaci mi piaci per sempre o giù di lì e se mi stai sulle bolas sarà così per i secoli dei secoli. Amici non ne ho così come canta Loredana Bertè (ma a differenza sua le sopracciglia me le faccio ancora e la pazzia ha bussato un paio di volte alla mia porta ma non ho mai aperto..ancora). Vivo di un rapporto alla volta e già le trilogie mi mandano il sistema nervoso in crash…Non ho mai fatto parte di un gruppo e non ho mai avuto i classici rapporti di amicizia che ti tiri dietro dalla prima infanzia. Frequentavo due sorelle che avevo conosciuto alle medie e credetemi ci ho provato a farmi andare giù il loro cervello grande come un mirtillo e l’apertura mentale di una capocchia di spillo…10 anni fa ho detto basta andatevene affanculo. Una delle due l’ho rivista un anno fa che staccava i biglietti del concerto di Antonacci con l’espressione vitale di una scatoletta di tonno Palmera, l’ho guardata fissa mentre strappava quel pezzetto di carta e lei non ha alzato nemmeno lo sguardo. Encefalogramma piatto così come la sua seconda scarsa. Alzati Lazzaro! niente, un palo della luce senza luce. Ho tirato avanti lo stesso. Un’altra che non frequento dal 1996 e con cui è finita a pugni come in Fight Club ma con nessun ritorno economico, mi chiede di rivederci. L’umanità è fatta in modo alquanto assurdo, ti vanno a cercare dopo che hanno passato 14 anni a ignorarti…no mi spiace, ho tutto quello che mi serve compresa la possibilità di dirti No Non Mi Va, se vuoi fare un salto nel passato rispolvera il Dolce Forno Harbert. Sono asociale lo ammetto, alzo le mani all’evidenza ma non cerco redenzione. Non ho commesso peccato se non quello di non amare la gente, gente intesa come qualunquismo e piattezza cerebrale o peggio ancora come dottori di onniscienza che ti vogliono insegnare come si vive o qual è il giusto abbinamento tra vino e dessert.

 

0 30 anni in un secondo (2004)

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Trama: Jenna (Jennifer Garner)è una tredicenne allegra e spensierata ma con un grande sogno in testa, poter entrare nel Sestetto delle ragazze più popolari della scuola. Il suo migliore amico è Matthew, un coetaneo cicciottello e con la passione della fotografia che la ama segretamente. Arriva il tanto atteso giorno del compleanno di Jenna. Tutto è pronto, salatini, bibite e musica giusta (siamo negli anni 80). Matthew regala alla sua amica una casa giocattolo costruita da lui e un po’ di polvere magica per esaudire il suo desiderio più grande, ma tutto viene messo nello sgabuzzino all’arrivo del Sestetto. Quest’ultimo decide di fare un brutto scherzo alla povera Jenna e le fa credere che se si chiuderà nello sgabuzzino presto arriverà il più carino della scuola per giocare a “7 minuti in Paradiso”. Jenna accetta, ma le sei perfide ragazzine ne approfittano per portar via tutto il cibo e andare via. Prima di congedarsi dicono a Matthew che Jenna lo sta aspettando, lui entra e lei al vederlo rimane delusa. Capisce che non entrerà mai nel Sestetto e se la prende con Matthew scaraventandogli addosso la Casa che lui le aveva regalato, poi rimasta sola chiede disperatamente di avere 30 anni, l’età che secondo il suo giornale preferito è quella più bella e soddisfacente per le donne. Un po’ di polvere magica le cade sulla testa e l’indomani si sveglia in una realtà ben diversa da quella che conosceva: è una trentenne, è fidanzata col ragazzo che le piaceva, è caporedattore della sua rivista preferita e ha tantissime scarpe e vestiti. Ora che ha 30 anni sarà veramente felice?

Commento: il film è bellissimo. Comincio così in modo da non lasciare dubbi di sorta. Sarà che uno dei miei film preferiti è Big, ma l’idea di andare a letto in un modo e risvegliarsi in un altro è a dir poco fantastica. Avverare i propri sogni e capire se quello che vogliamo è veramente quello che ci renderà felici….nella realtà è impossibile ovviamente ma grazie a film come questo possiamo sognare un pochino e arrivare, forse, ad apprezzare di più quello che già abbiamo. La pellicola vive di questo ma anche di molto, molto altro: è una commedia in cui si ride, ci si commuove e si prova tanta nostalgia. Sarà la splendida colonna sonora anni 80 o il ricordo dei nostri 13 anni, ma il treno di ricordi e sensazioni belle ci arriverà addosso non come un pugno ma come una carezza, dolce e confortante. Non è necessario avere 30 anni o 13 per apprezzare questo film, piacerà a tutti indistintamente. C’è il momento esilarante e quello commovente come nella più classica delle commedie americane, c’è il momento corale e quello intimista, c’è tutto, compreso il lieto fine che negli ultimi trenta secondi sfugge alla banalità che avrebbe tolto qualcosa al giudizio complessivo. Correte a prendere il dvd e il pop corn!

Voto: 9,5

giovedì 29 aprile 2010

0 Finalisti Isola dei Famosi 7

 

 

isola-dei-famosi-712Eccoci arrivati alle battute finali di un’Isola che non è piaciuta a molti e gli ascolti lo dimostrano ampiamente. L’uscita di Busi, la presenza di quasi nessun famoso (escludendo la Milo che però era fuori dalle scene ormai da 20 anni o giù di lì), l’abbandono di Ward (dato come papabile vincitore), tutto questo ha contribuito a far disamorare gli italiani da una di quelle tradizioni che si rinnovano annualmente, un po’ come la fetta d’anguria a Ferragosto o la lasagna della suocera alla domenica. L’italiano medio ha punito l’epurazione del Signor Busi con un voltafaccia che non si dimentica facilmente: la visione di Italian’s got talent, una delle peggiori troiate presenti nei palinsesti televisivi. Eppure a mio modestissimo parere l’edizione dell’Isola dei Famosi di quest’anno è superiore alla narcolettica vittoria di Calvani o a quella della Del Santo, l’unica differenza è che qua effettivamente abbiamo una finale con 4 sconosciuti, di cui due figli di…, un nip e un incognita che forse è più famosa in America che in Italia. E per la prima volta c’è veramente l’incertezza del vincitore finale, perchè una volta eliminata la Cupola ciò che è rimasto sono 4 sfigati che a carte coperte sarebbero stati buttati fuori nel giro di un bah. Direi “La rivincita dei Nerds”. Vediamoli uno a uno.

 

Daniele Battaglia: io lo conoscevo perchè assurdamente mi piacevano due canzoni che ha inciso prima di rinunciare alle sue velleità artistiche. Non ha una brutta voce ma gli manca quel quid che ne avrebbe fatto almeno un cantante di medio livello. Motivo per il quale ha ripiegato sul mondo delle radio e mi pare che facesse (o faccia ancora) il dee jay a Radio Italia (emittente in cui la verve non è un elemento necessario ma in cui i toni mesti e dimessi sono più tollerati. Diciamo l’opposto dello Zoo di 105). Poi non ha fatto altro se non un gran tonfo a Sanremo. Ci ha voluto provare all’Isola e diciamoci la verità: è rimasto nell’ombra per diverse settimane prima di strumentalizzare a suo favore la pubblica denuncia di Guenda Goria e da lì è stato facile cavalcare l’onda sino alle battute finali. Ha un carattere stranissimo, diciamo che la goliardia non è il suo forte ma nemmeno il semplice sorriso, è un serioso ragazzo di 90 anni che ha vacillato tra lo stare con i Forti e guidare la riscossa dei più Deboli. Si è macerato dentro sino a quando non è riuscito a scalare gli alberi da cocco come Denti Larghi (o se preferite Tetta Metallica) e questo fa di lui un invidioso per natura. Ha l’atteggiamento tipico di chi non ha mai fatto una cazzata in vita sua tanto che uno non si spiega la presenza sul corpo di tutti quei tatuaggi…chissà forse un’emulazione di Francesco Fachinetti, l’inarrivabile amico di infanzia. Daniele Battaglia probabilmente vincerà, un po’ ingiustamente ma vincerà.

Guenda Goria: non lo nascondo, è la mia preferita. Ho visto la sua espressione un po’ tra le nuvole, la genuinità vera e un carattere forte nel criticare una Burt che a 50 anni raccontava le bugie per andare avanti, grandissima paraculo giustamente punita prima delle battute finali. Ha resistito agli attacchi vergognosi della Senicar che come le ragazzine stronze delle medie l’ha colpita sull’aspetto fisico, arrivando a definirla Mostro di Lockness e Stupida. L’hanno esiliata tutti per due settimane (compreso il caro amico Battaglia che salva la faccia solo perchè non l’ha mai nominata), l’hanno fatta a pezzi perchè aveva perso le posate, l’hanno schifata in ogni modo possibile e lei ha resistito dannandosi l’anima per inutili chiarimenti (atteggiamento tipico di una ventenne) con persone che non avevano il coraggio di riportare a terzi i pettegolezzi fatti a lei. Ha dato il suo contributo nelle varie prove e ha mostrato un’educazione pazzesca rispetto alla brutta immagine che hanno offerto i suoi compagni di naufragio. Forse non vincerà, così come non aveva vinto la De Blanck ai suoi tempi. E perchè non aveva vinto? perchè c’era un Walter Nudo che piangeva e quest’anno abbiamo un Battaglia che lamenta l’assenza trentennale del padre oltre che la necessità di liquidi per la madre. Agli italiani queste storie drammatiche piacciono così tanto che dimenticheranno facilmente il principesco conto in banca del piccolo figlio dei Pooh. Peccato!

Domenico Nesci: non sapevo proprio chi fosse questo smutandato col tricolore e la fascia sulla fronte e continuo a non saperlo. Gli riconosco di aver portato un po’ di goliardia in un’isola funerea, gli riconosco la simpatia anche se di grana un po’ grossa, ma c’è qualcosa che non mi convince in lui. Non è uno stupido e dietro alla battuta nasconde spesso un po’ di lucida perfidia. Sa bene che tutti gli altri puntano alla vittoria e fa finta che a lui non gliene importi più di tanto, strategia che spesso porta degli ottimi risultati. Gli altri si sbattono e lui si gratta le pudenda in riva al mare, convinto che tanto il cibo gli arriverà comunque sotto il naso. Detesta gli altri tre compagni che stupidamente continuano a sproloquiare sull’abbattimento della Cupola non capendo che in questo modo stanno favorendo uno che si fa bellamente i cazzi suoi. La sua vittoria assomiglierebbe tanto a quella del sudicio Mauro Marin del Gf, la vittoria dell’outsider che ha la mania del sesso e poco amore per il sapone.

Luca Rossetto: ultimo dei Nip. Era già l’ultimo dei Nip anche quando i Nip c’erano tutti, l’ultima ruota del carro. Il quattrocchi con più di un principio di seno e la pancia da oste, quella pancia che si coltiva dalle elementari e che è difficile da togliere. Le tette sono rimaste, così come un fisico non propriamente atletico però è cambiato l’atteggiamento. Ora ci crede, crede in sè stesso e nelle sue abilità ingegneristiche. Ha vinto diverse prove leader dimostrando di essere più forte di quel che racconta il suo fisico e l’espressione da tonno. Neanche lui è un burlone, ma è un ragazzo intelligente, motivato e con un bagaglio di esperienze fatte sull’isola che probabilmente gli serviranno anche nella vita reale. Si è svegliato ma non del tutto, continua a rimanere il ragazzo del primo banco che durante la ricreazione mangia in solitaria il panino con salame fatto da mamma. La sua vittoria a parer mio non è tra le più probabili, ma sarebbe senz’altro la più sorprendente.       

domenica 25 aprile 2010

1 1997 Fuga da New York (1981)

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Trama: New York 1997, la città è in mano a bande di delinquenti, ubriaconi e uomini senza futuro, senza speranza, tutti chiusi dentro un enorme perimetro cinto da alte mura. Al di fuori di Manhattan staziona la Giustizia, rappresentata dalla polizia e dai militari, oltre che dal potere costituito. Ma. Ma un giorno l’aereo che sta trasportando il Presidente degli Stati Uniti viene dirottato e distrutto. L’uomo più potente del mondo riesce però a salvarsi prendendo il volo con una capsula che si schianta proprio nel bel mezzo della Grande Mela. Qui viene preso in ostaggio dal Duca, un nero rispettato e temuto da tutti gli abitanti di New York. A questo punto, le milizie si affidano a Yena (nell’originale Snake…donde il tatuaggio a forma di serpente) Plissken (Kurt Russell), un prigioniero condannato alla pena capitale. Sarà lui a introdursi (attraverso le ormai defunte Torri Gemelle) a New York e a liberare entro 24 ore il Presidente ma soprattutto a recuperare il nastro dov’è contenuta la formula della fusione fredda. Per spingerlo ad accettare gli vengono iniettate a tradimento delle microcapsule che esploderanno allo scadere delle 24 ore a meno che non gli vengano neutralizzate e rimosse. Il ricatto è pronto e Yena accetta a malincuore, sapendo che se l’impresa dovesse andare a buon fine potrebbe riottenere anche la libertà. Durante l’avventura conosce alcuni personaggi particolari e rincontra un vecchio conoscente grazie al quale la sua impresa potrebbe concludersi positivamente nonostante gli ostacoli posti dal Duca e dai suoi scagnozzi…Il tempo scorre veloce però, ce la farà?

Commento: siamo di fronte ad un cult dove trovare il difetto è francamente impossibile. Regia affidata alle mani di Carpenter, uno che di qualità cinematografica se ne intende parecchio. Il ruolo di protagonista è affidato all’imberbe Kurt Russell, antieroe dalla bella faccia, icona post atomica e con un mozzicone di sigaretta sempre in bocca. Ai tempi dev’essere stato una scommessa rischiosissima per Carpenter visto che nell’81 Russell era ancora un semi esordiente con una faccia troppo pulita per rappresentare un bastardo figlio di puttana con una lunga striscia di imprese belliche alle spalle. Scommessa vinta in toto. Kurt che in questa pellicola è molto serioso e incazzato darà poi vita a personaggi molto ironici, uno tra tutti il mitico camionista di Grosso Guaio a Chinatown (un altro felice parto di Carpenter), riuscendo a farsi un nome in quel di Hollywood. Qui aveva solo 30 anni e tante belle speranze, ha fatto il suo dovere e pazienza se la produzione avrebbe preferito un Tommy Lee Jones o Charles Bronson…la leggenda probabilmente non sarebbe mai nata. Passiamo al film. L’epoca che dovrebbe rappresentare è un ipotetico 1997. Come sappiamo nel 1997, ormai risalente a 13 anni fa (!!!) New York è il mondo, pur essendo abbastanza malandati sono comunque riusciti a non finire nel modo che possiamo ammirare nella pellicola…ciononostante chi ha visto il film nel 1981 non lo poteva sapere visto che dovevano ancora trascorrere la bellezza di 16 lunghi anni di incertezze, perciò l’effetto di ansia e preoccupazione doveva essere bello presente in chi allora spese le sue 2000 lire per godersi questo gran film. New York è una città scura, buia e disabitata, ben diversa dalle immagini che ci arrivavano dalla televisione in quell’epoca lontana dove la Grande Mela risplendeva (come ancora continua a fare) di milioni di luci, di vita e di traffico intenso. I passi sono udibili in quella notte perenne, così come ogni singolo respiro e battito di cuore accelerato. La solitudine si sente e l’ansia arriva a mille quando si capisce che il tempo a disposizione si sta esaurendo e la meta è ancora lontana. Le emozioni non mancano. Ogni tre secondi poi ci si aspetta di vedere uscire da dietro l’angolo Michael Jackson col suo giubbotto rosso e la faccia da zombie o la sua banda di ballerini che affrontano qualche altra banda di quartiere e questo perchè negli stessi anni Jacko girava i suoi video (Beat it, Thriller, Bad) più o meno con le stesse caratteristiche: città affidata a bande armate, scura e cattiva, o popolata da creature mostruose. Gli anni 80 hanno vissuto di queste cose per quasi tutto il decennio, come se ci fosse la segreta paura che prima o poi il Male avrebbe trionfato sul bene, il buio sulla luce e la solitudine dell’uomo sulla convivenza pacifica. I film apocalittici o post bellici non mancano, ma questo è uno dei primi e apre la strada a tutti gli altri offrendo uno spaccato di vita forse irreale ma decisamente terrificante. Gli anni 80 sono presenti all’inverosimile nel film: basti solo pensare al look di Jena, così sfacciatamente pop, capello mesciato e lungo, vestiti fintamente da battaglia e attenzione per il singolo particolare. Questo naturalmente vale anche per tutti gli strani individui che appaiono durante i 90 minuti, capelli punk e orecchini a go go. Io l’ho trovato favoloso. La decadenza della città è simboleggiata tra l’altro dall’enorme biblioteca di New York, ormai abbandonata e rifugio per disperati sempre in lotta per la sopravvivenza. Il film è veloce ma non troppo, lascia il tempo allo spettatore per fare le sue considerazioni su tutto ciò che avviene e lascia il segno per tutta la sua durata. La morte di qualche personaggio nel cinema odierno sarebbe un fatto capitale e su cui spendere più di qualche minuto di pellicola, qui invece si parla per brevi fotogrammi, un momento sei vivo il momento dopo sei a terra senza vita ma non c’è tempo per piangere, perchè bisogna fare in fretta. La morte è necessaria perchè qualcuno si possa salvare, anche se questo qualcuno è uno stronzissimo presidente degli stati uniti. Il finale del film è da incorniciare tra i migliori della storia del cinema: ironia e dito medio verso il potere costituito. Fantastico. Tra l’altro, il finale sembrerebbe presagire un proseguio delle avventure di Jena ma in realtà bisognerà aspettare ben 15 anni per Fuga da Los Angeles…ed è inutile dire che non siamo sugli stessi livelli del capostipite.

 

Voto: 9,5    

martedì 20 aprile 2010

0 1975:occhi bianchi sul pianeta Terra

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Trama: Anno 1977. Los Angeles. Robert Neville (Charlton Heston) è l’unico sopravvissuto ad una guerra batteriologica scoppiata due anni prima su tutto il pianeta Terra. Era un medico, salvatosi dalla morte grazie ad un vaccino. La sua è un’esistenza solitaria, con giornate trascorse nella perlustrazione della città alla ricerca di superstiti e della Famiglia, un gruppo di esseri umani geneticamente modificati dal batterio letale guidati dal loro capo Matthew. Le loro caratteristiche principali sono gli occhi trasparenti, i capelli bianchi e la fotofobia. Nutrono un odio profondo verso tutto ciò che rappresenta la precedente umanità che ha permesso che capitasse questa immane catastrofe, motivo per il quale danno la caccia a Neville, scienziato e ultimo baluardo del genere umano. Durante una delle sue monotone giornate, Neville vede dopo 2 anni un altro essere umano, una donna di nome Lisa. Sarà lei a presentargli uno sparuto gruppo di persone sopravvissute al genocidio, soprattutto bambini. Neville capisce che c’è una speranza per l’Uomo, ossia il suo sangue immune dal contagio ed è così che inizia a creare un siero che possa salvare i pochi sopravvissuti a cominciare dal fratello di Lisa, prossimo alla trasformazione in Albino. L’esperimento riesce ma da quel momento in poi le cose precipitano velocemente: Lisa viene contagiata dal batterio e Matthew riesce a trafiggere con una lancia Robert che però riesce prima di morire a consegnare il siero ai ragazzi, ultima speranza per il futuro dell’umanità.

Commento: tanto di cappello ad una pellicola che riesce a tenere lo spettatore moderno sempre in punta di sedia e col fiato cortissimo. Il film risale ad un’era geologica, cioè il 1971 ma è di 100 gradini superiore al suo remake, tratto sempre da Io Sono Leggenda di Matheson e interpretato diligentemente da Will Smith. Siamo di fronte ad una perla con una colonna sonora eccezionale e con un tipo di recitazione che non esiste più, tinte fosche miste a sprazzi di speranza in un futuro migliore ma devastato dagli scempi del progresso e delle guerre tra nazioni. Io ho trovato tutto perfetto, niente lungaggini, dialoghi scarni ma efficaci, ottimo il trucco degli ALbini e qualità altissima sotto il profilo della sceneggiatura e del ritmo in generale. Forse oggi ci sembra tutto banale, ma posso assicurare che questo breve film (un’oretta e mezza che scorre sin troppo veloce) offre l’ABC di come dovrebbero essere realizzate le pellicole che sposano l’elemento horror. Gli anni 70, così come gli anni 80, hanno fatto proliferare questo come altri generi affini poi è andato tutto perso, banalizzato da ragioni di marketing e incassi al botteghino, ora ci propinano cagate a piene mani sbattendosene di cercare la profondità del racconto unita ad un ritmo incalzante. Non c’è retorica in questo film, l’uomo è uomo per davvero, la donna ha le palle pur mantenendo la propria femminilità senza cedere però ad inutili stereotipi arci presenti nel cinema anni 2000. Allora si spendeva poco ma si azzardava di più e a ragione!, tutto sommato pochi conosceranno il film in questione e farebbero bene a correre ai ripari. Una pietra miliare da rivalutare.

Voto: 8,5 

lunedì 12 aprile 2010

0 14 anni vergine (2007)

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Trama: Sam si trasferisce in una nuova scuola e affronta con grande ottimismo il suo primo giorno. Dopo un abbraccio ai suoi che l’hanno accompagnato sino all’ingresso di scuola varca la soglia seguito dagli ironici brusii dei nuovi compagni che lo vedono come uno sfigato. Certo non l’aiuta la sua altezza da hobbit e l’aspetto da ragazzino delle medie, così come i capelli, l’abbigliamento e gli ottimi voti. Inoltre è scarsissimo nello sport. Durante quelle lunghe ore conosce solo Annie, una ragazza normale e fuori dalla cerchia dei più popolari della scuola. Sam si rivolge allora al consulente scolastico che gli consiglia di dire tante balle per poter acquistare un nome all’interno di quella 4 mura di ipocrisia e superficialità. Detto fatto. Sam si risveglia l’indomani con una nuova vita in cui tutto quello che si è inventato è diventato realtà: la prof e la più carina della scuola si innamorano di lui, diventa un asso del basket e un asino a scuola. Sarà vera felicità?

Commento: teen movie con una marcia in più. Divertente senza essere volgare. Ci presenta la più classica delle situazioni vissute dalla gran parte degli adolescenti: stare dalla parte sfigata della barricata ma non perchè sia veramente sfigata ma perchè i tuoi compagni di scuola hanno deciso che sia così. Non bisogna pensare che sia una situazione legata esclusivamente alle scuole americane dove contano i meriti nello sport, la macchina sportiva e i vestiti giusti oltre che un aspetto più che piacente. La stessa cosa la si ritrova in qualsiasi scuola del mondo. Le mie superiori sono state un incubo ma non perchè fossi bassa, grassa e con le mutande della nonna (tutt’altro)…ero una che si faceva i cazzi suoi, i miei non erano nè medici nè ingegneri, il mio rendimento scolastico era sotto la media, ma chissà perchè ero tenuta a distanza da quelle 5 o 6 merde (ma forse anche di più) che avevano i soldi, il vestito di marca e il papino nell’alta società cagliaritana. Ma c’è di peggio, ero isolata anche da quelli che sfigati lo erano veramente e questo credetemi non l’ho mai capito. In Italia conta molto la faccia di culo che ti ritrovi, se sei un grande comunicatore hai tutte le porte aperte, se sei timido o non ti va di alzare la mano e dire due troiate sei fuori a prescindere. Questo film è la quintessenza di questa realtà: un ragazzino con enormi potenzialità e un grande cuore viene socialmente fatto fuori perchè è esteticamente diverso dalla massa. Forse sarà un film tutto sommato banale nei contenuti ma a me è piaciuto tanto, molti vedendolo penseranno alla loro adolescenza quando tutto sembrava insormontabile e altri che l’adolescenza la stanno vivendo ora penseranno che tutto sommato il protagonista è proprio uno sfigato.

De gustibus non disputandum est

Voto: 7,5

sabato 10 aprile 2010

0 Cagliari ti amo o ti odio?

CAGLIARI

Ho fatto in tempo a nascere, crescere e skazzarmi in una sola città, che poi sarebbe il capoluogo di una regione che nessuno di noi chiama regione ma semplicemente e orgogliosamente Terra. La mia Terra. Non quella con la stratosfera e la superficie terrestre, ma quella un po’ più piccola e disabitata, quella col mare tutto intorno e i turisti sempre in mezzo al cazzo, se mi si permette la finezza. Questa Terra Sarda che io conosco poco, forse perchè prima di essere Sarda sono Cagliaritana e il cagliaritano si sa è molto lontano dal concetto atavico di sardità, è come uno che qui c’è capitato per caso, gli è piaciuta la spiaggia del Poetto, ci ha costruito una ventina di chioschetti, ha aperto la Fiera e ha deciso che la mattina senza un caffè è proprio una cazzo di mattina. Il Cagliaritano ha i suoi riti: il caffè al bar (meglio se Rita Boi), l’occhiale da sole sino alle 8 di sera, il colletto della polo alzato, la macchina eternamente in doppia fila, l’Unione Sarda sotto l’ascella e se deve mangiare una pizza esiste solo lo Zodiaco. Il Cagliaritano è di destra e adora esserlo, non potrebbe mai condividere ideali quali l’uguaglianza sociale, la giustizia uguale per tutti e le tasse come dovere di ogni cittadino. Il commerciante cagliaritano non saluta quasi mai quando un potenziale cliente entra nel suo negozio, aspetta che sia lui a farlo e poi decide se rispondere o no. Il Cagliaritano se vogliamo non è neanche un gran tifoso, anzi penso che la tifoseria del Cagliari sia tra le più scalcinate e innocue del panorama italiano e poi ci chiediamo come mai viaggiamo sempre nella parte bassa della classifica. Il Cagliaritano non sopporta gli altri sardi perchè li vede diversi, prende le distanze dall’allevatore in berritta e camicia di flanella ma non disdegna il porchetto regalato dal parente biddaio (=paesano) che puzza di capra, si fa il formaggio in casa, ha le unghie nere, centinaia di ettari di terra ma i figli all’università. Il Cagliaritano si inkazza se qualche continentale osa parlare della Sardegna come una terra di pastori perchè lui (il Cagliaritano) è un piccolo milanese cresciuto un po’ più a sud della Pianura Padana e non un puzzolente pecoraio, lui non nega il fatto che una parte della Sardegna sia effettivamente così ma ne prende ampiamente le distanze, per mettere uno spartiacque bello grande tra ciò che profuma di mare e ciò che puzza di letame. Non è cattivo e non è che lo disegnano così, è semplicemente un personaggio che vede nella città l’unico posto vivibile, l’unico strumento di civiltà e di crescita sociale. La posizione sociale la conquista sin da quando è ragazzetto, perchè se è figlio di professionisti sarà automaticamente attorniato dai suoi pari e sposerà un/a pari livello con tanto di pranzo al Convento di San Giuseppe e viaggio di nozze in Polinesia, se invece è figlio di un dipendente pubblico o di gente comune vive una vita normale senza guardare il censo di chi ha davanti e con tutta probabilità si accaserà con una persona normale vivendo una vita normale senza figli che abbiano il doppio cognome e le mutande col blasone di famiglia.

Io sono nata e cresciuta in questa città che un po’ mi piace e un po’ mi sta sul cazzo. Sino ai 18 anni ho fatto la classica vita di quartiere casa e scuola, poi ho iniziato a scoprirla poco a poco sino a non poterne fare a meno, sino ad assegnare ad ogni luogo un ricordo e un’esperienza, a volte felice a volte triste. La sentivo mia sino a quando è ritornata ad essere una semplice città ics in mezzo all’atlante. Ci ho messo anni a ritornare alla condizione privilegiata di cittadina cagliaritana, fiera del vessillo e dei 4 mori. Continuo a non comprenderla del tutto, a non capirne le contraddizioni, a detestare cordialmente tutti coloro che la usano come proprietà privata senza esserne padroni, ma solo con quel loro atteggiamento da qui comando io, tu sei nuovo perciò stai alle regole o fuori dal cazzo. A Cagliari ci sono i locali in e i locali out e i locali a cui non frega niente a nessuno: bene io vado in questi ultimi perchè francamente non amo nè le passerelle nè le canottiere aderenti su petti villosi. Amo le mie scarpe da tennis e fanculo ai paletti. Comunque tanto per dirne una che spieghi in modo definitivo cosa intendo io per cagliaritano racconto un aneddoto che mi ha insegnato molto nella vita: era estate, erano le 19, avevo sete, ero davanti ad un noto (tranne che a me) locale gay che si trova vicino a casa mia, faccio per entrare ma ho ricevuto prima un’occhiata malmostosa e poi un secco rifiuto perchè non era orario visto che mancava circa 1 minuto virgola 2 all’apertura. Non stiamo parlando nè dell’antico caffè nè del T hotel, ma di una piola chiamata Rainbow dove la cosa più elegante che ho visto era un ombrellino per i cocktail. Come si può notare la cortesia e l’amore per il cliente non ha confini dati dall’identità sessuale, etero o omo sempre stronzi siamo, e con questo vi saluto.

  

   

0 100 ragazze (2000)

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Trama: Matthew rimane bloccato in ascensore con una ragazza di cui non vede mai il volto visto che proprio nel momento in cui si stanno per guardare negli occhi avviene un black out. I due copulano allegramente, Matthew si addormenta e al risveglio la ragazza non c’è più. A questo punto decide di cercarla avendo come unico indizio un paio di mutandine. La ricerca è difficile visto che il tutto è avvenuto in un dormitorio femminile composto di 100 ragazze. Fingendosi un addetto alla manutenzione riesce piano a piano a conoscerle tutte, entrando sempre più in sintonia con il mondo femminile sino a quel momento a lui sconosciuto.

Commento: non sono mai stata una con la puzza sotto il naso rispetto ai b-movie all’americana, anzi ne avrò visto decine nel periodo 80/90 anche perchè è proprio da lì che son venuti fuori attori importanti o semplicemente molto popolari (Sean Penn, John Cusack e Patrick Dempsey, solo per citarne alcuni). La situazione è decisamente cambiata con i vari American Pie che hanno portato il genere dagli amori adolescenziali e un po’ classisti al decisamente più prosaico sesso. 100 ragazze è una pellicola che non ha trama, o meglio, la trama è del tutto funzionale a ciò di cui si vuol parlare: cioè il sesso in tutte le sue forme più suine e segaiole. Un sesso per tredicenni con l’onanismo come secondo hobby dopo facebook. Una puttanata in piena regola con dei dialoghi che hanno addirittura la pretesa di prendersi sul serio. Non è infatti un film di gag e doppi sensi finalizzati alla risata volgarotta ma pur sempre risata, no, si tratta di una pellicola che vuol parlare sessualmente parlando del rapporto tra i sessi, utilizzando frasi come “adoro l’ombelico della donna perchè morfologicamente è il preludio a ciò che sta più sotto, quel triangolo che è una freccia che ti indica la direzione da seguire”. Questa è una delle mille perle color escremento che si trovano in questa vaccata di film dove le donne sono o belle e snob o brutte e maiale. La via di mezzo è rappresentata dalle lesbiche e qui ho detto tutto. Gli attori sono tutti stereotipi di ciò che devono rappresentare: il protagonista con una faccia da sfigato di prima classe, il compagno di stanza porco che si allunga il batacchio con dei pesi comprati per telefono, la bellona che in fondo in fondo un’anima ce l’ha, la cessa che legge romanzi erotici per soddisfare i suoi appetiti sessuali, eccetera eccetera. Un film orrendo sotto tutti i punti di vista.

Voto: 1  

mercoledì 7 aprile 2010

0 1 km da Wall Street (2000)

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Trama: Seth Davies molla gli studi al college per dedicarsi ad un’attività più proficua, l’organizzatore di una bisca clandestina attiva 24 ore su 24. Un giorno viene contattato da un suo cliente amico che gli propone di fare il classico salto di qualità, passando da un guadagno buono per pagare l’affitto a cifre a tanti zeri con cui comprare una Ferrari e un appartamento di lusso. Seth accetta subito soprattutto per riconquistare la fiducia del padre, un giudice che ha sempre mostrato un atteggiamento rigido e inflessibile nei confronti del figlio e ancor di più alla notizia dell’attività illecita gestita da Seth. Il nuovo lavoro consiste nel vendere azioni a potenziali clienti, scelti ad hoc tra coloro che hanno un reddito medio alto ma che non sanno niente di finanza. Prede facili per i broker della J.T. Martin. Seth capisce di aver trovato il lavoro della sua vita e riesce in breve tempo a chiudere numerosi affari, imbeccato dai colleghi più esperti, ricchi, privi di stile e irrisi dai veri broker della Borsa di New York. Tutto bellissimo quindi, finchè Seth inizia a nutrire i primi sospetti sulla buona fede della piccola società in cui lavora, fino a quando non viene arrestato dalla polizia che gli chiede di svolgere il ruolo dell’infiltrato per far crollare la società, colpevole tra l’altro di  vendere azioni inesistenti a clienti ignari di tutto e ormai sul lastrico.

Commento: il film è ottimo sotto tutti i punti di vista, dagli attori alla trama, dal dettaglio più piccolo al dramma esistenziale di un adolescente in rotta col padre. Il protagonista, Giovanni Ribisi, svolge il compito da attore più che consumato…e ricordiamoci che nel 2000 era ancora un volto nuovo e alle prime armi. Tutti se lo ricorderanno per il ruolo di fratellastro scemo di Phoebe in Friends o per il ruolo di soldato in Salvate il Soldato Ryan, ma lì era un comprimario, qui si impadronisce della scena da novello De Niro. Non è bello, balbetta, è basso e ha uno sguardo da pesce lesso, eppure domina e conquista lo spettatore più scettico. Una grande prova che viene in qualche modo resa ancora più nostalgica dal recente ruolo in Avatar, dove ha ricoperto una particina insulsa e a suo modo odiosa. Il film ha un buon cast quasi tutto al maschile: Vin Diesel, stranissimo in un film drammatico, ma inaspettatamente perfetto nella parte di broker buono e Ben Affleck, sborone della situazione, stronzo ma credibile. Buona la scelta della prima persona nel commentare l’antefatto e il finale, ottimo il ritmo mai condizionato da momenti di stasi. E’ un film che conquista dal primissimo fotogramma, anche se il mondo della finanza non fa al caso vostro. Tutti si possono immedesimare in questo giovane dai capelli rossi che arriva in alto grazie al talento delle parole, forse vuote ma trascinanti, tutto il contrario di chi ci chiama al telefono per proporci stancamente un contratto telefonico con Infostrada e si becca un veloce vaffanculo. Un film da vedere il prima possibile.

Voto: 9  

lunedì 5 aprile 2010

0 Berserk

berserk_002Berserk  mi ha colpito, non conoscevo questa serie e ne sono rimasta intrappolata sino all’ultimo secondo dell’ultimo episodio. Un antipasto di una vicenda molto più lunga e intricata che si può comprendere nella sua interezza solo leggendo l’omonimo manga. Il protagonista dei 25 episodi trasmessi stranamente su Italia 1 è Gatsu, un guerriero che porta sul corpo i segni di mille battaglie. Nato dal corpo di una donna impiccata viene raccolto da un gruppo di mercenari che gli insegnano le arti della guerra sin dai suoi primi anni di vita. Gatsu sceglie una spada gigantesca per esercitarsi e per combattere, la stessa spada con cui uccide Gambino suo padre adottivo, colpevole di aver venduto il suo corpo ad un membro della compagnia. Gatsu scappa per sfuggire alla vendetta del gruppo di uomini orfani del loro capo, seppur da tempo menomato e sempre più insofferente nei confronti del ragazzo, colpevole secondo lui della morte della sua consorte. La vita di Gatsu si trasforma in una lotta per la sopravvivenza finchè incontra colui che cambierà la sua vita nel bene e nel male, ossia Grifis un giovane dai capelli lunghi che sta a capo dell’Armata dei Falchi. Grazie all’ingresso del forte Gatsu nel gruppo di mercenari, l’armata inanella un successo dopo l’altro diventando ben presto una compagine invincibile e quasi regolarizzata visto che per un certo periodo accetta di entrare a far parte dell’esercito reale di Midland. Gatsu ha trovato la sua dimensione soprattutto grazie ad amici fraterni e alla bella Caska, la ragazza guerriera da sempre innamorata di Grifis. Quest’ultimo però nasconde un oscuro segreto celato dietro il ciondolo chiamato Bejelit, capace di salvarlo sempre dalla morte ma ricco di influenze maligne. Grifis è un uomo ambizioso che vuol coronare un sogno di gloria anche a costo di sacrificare i suoi compagni, ignari del suo fine ultimo. Per riuscire nel suo intento si libera di tutti coloro che intralciano il suo cammino e come ultima mossa viola la principessa durante una notte di pioggia, reato punito con torture fisiche inimmaginabili. Mentre Grifis finisce nelle mani del torturatore che gli recide i tendini e la lingua fino a farlo diventare l’ombra di se stesso, i suoi compagni perdono la loro forza seppur guidati dalla coraggiosa Caska e Gatsu si è allontanato ormai da un anno per cercare il suo personale scopo nella vita. L’armata dei Falchi e Gatsu si ritrovano casualmente e decidono di tentare la loro ultima impresa cioè liberare Grifis. Il progetto viene portato a termine con successo ma tutti si rendono conto che il loro capo non potrà mai più tornare quello di un tempo e lo stesso Grifis tenta di suicidarsi, ormai privo di speranze, ma in quel momento sorge l’eclissi e il Bejelit si anima, grazie anche al sangue del suo proprietario. Il momento è giunto e sembra essere arrivata la fine del mondo in quanto tutto si trasforma in una distesa di teste sanguinanti e oscurità immensa. Sorgono le creature della Mano di Dio che propongono a Grifis di diventare un loro pari ma solo dopo aver sacrificato tutti i suoi compagni, egli accetta e inizia la sua trasformazione. Gatsu, Caska e gli altri vengono subito braccati e in parte decimati da demoni. Grifis una volta risorto a nuova vita (Phemt) violenta Caska sotto gli occhi disperati e inferociti del suo compagno Gatsu che non può intervenire in alcun modo.

Così si conclude la serie animata mentre il manga continua per numerosi numeri, anzi penso che stia addirittura continuando nonostante i tempi di pubblicazione delle serie giapponesi in Italia siano come dire biblici. Come dicevo all’inizio la storia è appassionante e complessa tanto che mi è sembrato quasi un delitto ridurre la trama a queste poche e riduttive righe ma era impossibile scrivere tutto e descrivere le varie sfumature che si possono apprezzare solo vedendo le puntate con i propri occhi. I puristi ritengono l’anime inferiore rispetto alla sua controparte a disegni, io non mi esprimo perchè sinora ho letto solo qualche numero del manga però non posso che apprezzare il doppiaggio e la realizzazione in generale. Certo mancano numerosi passaggi e qualche personaggio ma devo dire che la censura non ha rovinato almeno questo prodotto vista anche la dose di violenza che presenta la serie animata. In confronto Ken il Guerriero è quasi roba da poppanti. Molto sangue e anche scene di sesso, molto funzionali ai fini della storia e dell’intreccio. Che dire? un prodotto ben fatto e che riporta gli anime giapponesi ad un ottimo livello qualitativo molto distante dalla cazzate che ci propone Mediaset. La prima edizione del manga risale al 1989, mentre l’anime è datato 1997 quindi neanche troppo recente. Su youtube si trovano entrambe. Buona visione e mi scuso per eventuali imprecisioni.      

 

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