giovedì 31 marzo 2011

0 Pizzeria Little Star Cagliari

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In un fresco venerdì sera di metà marzo, con quel leggero brontolio nello stomaco che ti spinge verso locali zozzoni che soddisfino la tua troglodita fame, io e la mia fedele socia decidiamo di varcare la soglia del Little Star di via Lai.

Con un nome così ci si aspetterebbe una pizzeria ma abracadabra eccoci nel mondo di Alì Babà e i 40 ladroni (visti i prezzi) o nel peggior bar di Tunisi (vista la location). Uno stanzone con tavolame sparso coperto da tovaglie da pic nic e famigliola musulmana con prole urlante: il massimo per un islamico con baffo e sigaretta, il minimo per un cattolico con la puzza sotto il naso.

Il proprietario non si dimostra affabile tranne al momento di ricevere i soldi per il magro pasto ma questo è un atteggiamento diffuso e ci adeguiamo con la speranza che fosse solo una giornata no. Per tutto il tempo che siamo state lì non si è seduto nessuno ma svariate persone sono entrate per prendere la pizza d’asporto, buon segnale per me se mai deciderò di tornare a casa di quest’uomo, perché di casa si tratta vista l’eterna presenza di moglie, seconda moglie, suocero del tutto simile a Don Vito CorleoneLosco e figli a go go.

Passiamo al menu. Tentate dall’idea di una cena etnica al posto della canonica pizza, decidiamo di prendere un piatto di falafel e una porzione di cous cous, il tutto innaffiato da una birra Dreher…erano 20 anni che non la bevevo ma purtroppo era l’unica scelta disponibile e io dico, ma che cazzo, un’Icnusa no?!Sarcastico

Vabbuò. Nota positiva ci viene portato un cestino con una bella focaccia calda che sbocconcelliamo per paura di intupparci prima della cena. Che illuse poverine Angelo

Ci vengono portate anche le posate, incellofanate, e i bicchieri rigorosamente di plastica. Finalmente arrivano i falafel. 4 di numero e su una salsa di ceci. Sapore non pervenuto, ma buoni come riempitivo in attesa del piatto forte o a seconda come segnaposti o dischetti per l’hockey su ghiaccio.

Arriva anche il cous cous: da una parte il cous cous e dall’altra le verdure e la carne. I pezzi di carne erano due di numero, il cous cous non sapeva di niente se non di semolino, la verdura anonima. Non c’era neanche un’idea di curry, un accenno di piccante, che so un pizzico di sale. Ci siamo rimaste male e la fame è rimasta tale e quale, perciò ci siamo chieste come fanno alcuni cagliaritani a decantare sto posto per il cibo quando la qualità è assente e quando 4 palline da tennis fritte me le fai pagare 8 euro e 50 così come il semolino della nonna.

Insomma il giudizio non è positivo. Mancano i sapori, la scelta, la cortesia e i prezzi bassi, cosa francamente inaccettabile vista la presenza in città di numerosi locali affini dalla qualità superiore e i prezzi più ragionevoli.

Bocciato, ma tornerò per un panino africano sperando di non dovermi portare la maionese da casa….

martedì 29 marzo 2011

0 Ristorante Il Fanà

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In un sabato marzolino, con un bel sole bomba come non lo si vedeva da tempo in quel di Cagliari, io e la mia socia decidiamo di avventurarci in Corso Vittorio Emanuele alla ricerca del fantomatico ristorante Fanà, locale lodato e incensato su vari siti specializzati nel settore. Cammina cammina, dopo la lettura frettolosa di alcuni poco allettanti menù esposti in ancor meno allettanti ristoranti di cui eviterò per decenza di fare il nome, arriviamo finalmente alla nostra meta. Affamate e ingolosite ci fermiamo con un’espressione di disappunto sui volti: toh manca il menu all’esterno! e ora che si fa? si entra e si rischia o si propende per l’arabo 200 metri più indietro? Vinte dal fatal morso di fame che ne uccise più della lama, decidiamo di varcare la misteriosa soglia….

Locale bellissimo, piccolo, fresco, con pietre a vista e musica d’atmosfera. Ci accoglie una signorina che si dimostrerà essere cameriera (l’unica presente) e proprietaria. Forse anche cuoca visti i lunghi momenti di attesa tra una portata e l’altra. Ci fa accomodare e pronti via con la pratica tutta sarda dello snocciolamento del menu senza carta. In realtà ci sono stati proposti gli antipastini di mare e noi abbiamo accettato con tanto di bavetta laterale. Abbiamo poi preso il vino della casa, un vermentino di Capoterra, fresco, in bottiglia e presentato in un secchiello (applausi a scena aperta anche solo per questo piccolo ma importantissimo dettaglio, quasi sempre trascurato dalla gran parte dei ristoranti). Ottimo. Come non citare poi il meraviglioso cesto di pane civraxiu abbrustolito, soffice e condito con olio? Meritevole di medaglia al merito e gran cappello da top chef.

Gli ANTIPASTI sono stati numerosi e vari, lontani (tranne l’insalata di mare, per altro ottima) dalla tradizione cagliaritana e sperimentatori di nuovi percorsi di gusto. Ho gradito soprattutto il tonno con fagiolini neri e i magnifici gamberoni avvolti in una fetta di zucchina e racchiusi in un vestitino di pane guttiau con tanto di salsa piccante di accompagnamento. Meno appariscenti anche sapidamente parlando, il pesce spada con la rucola e il caprino (discreto ma con poco carattere), la cernia con carciofi (delicata), il salmone con cipolle (troppo asciutto).

Tra i PRIMI abbiamo scelto le linguine con l’astice. Le varie opzioni erano: risotto ai frutti di mare, la fregola con arselle e ravioli con spigola e asparagi. Cosa dire? Non esagero dicendo che a mio gusto si è rivelato essere uno dei piatti di pasta più sublimi che abbia mai assaggiato se non proprio divorato nella vita. Un encomio particolare per il sugo dolcissimo, cremoso e quasi privo di semi. L’astice figurava come protagonista vista l’abbondanza di carne e la poca presenza di tristi gusci vuoti. Il Paradiso del gourmet praticamente.

Il secondo l’abbiamo accantonato per mancanza di forze e di spazio gastrico, ma ho buttato l’occhio con invidia e cupidigia su un bellissimo e abbondante fritto misto un tavolo più in là. Questo sicuramente presuppone il fatto che è mia intenzione tornare quanto prima a provare ciò che mi sono persa in questa prima positivissima visita.

Il DOLCE è stata un’altra sorpresa. Un assaggio di un poker di dolci composto da creme caramel, gelato al gianduia e amaretto, gelato al pistacchio, una crema misteriosa e un ottimo dolce ai frutti di bosco. Difetto abbastanza evidente è stata la presentazione non adeguata, vista la consistenza quasi liquida dei gelati (troppa attesa sul tavolo di cucina?). Il sapore di alcuni non mi ha convinto del tutto ma la mia socia ha apprezzato tutto con varie esclamazioni di piacere quasi orgasmico, motivo per il quale il mio giudizio è sindacabile di anatemi e insulti.

Per finire abbiamo preso un mirto e abbiamo chiuso con una bella chiacchierata con la proprietaria, molto attenta ai nostri consigli e altrettanto grata dei numerosi complimenti. Quest’ultima sviolinata ha dato adito all’offerta di un ulteriore giro di dolci post conto ma piene come otri abbiamo declinato a malincuore.

Il conto è stato di 58 euro in due. Una qualità prezzo invidiabile e da tenere conto vista l’assenza totale di una carta da cui scegliere, elemento che nella gran parte dei ristoranti della mia città rappresenta un vero e proprio terno a lotto con la ciliegina sulla torta di un conto a tre cifre come risultato di tanta spregiudicatezza. Consiglio Il Fanà a tutti, soprattutto alle coppie che qui troveranno un ambiente discreto e intimo, a meno di non avere la sfortuna (capitata alla sottoscritta) di imbattersi in un napoletano attaccato al cellulare per tutta la durata del pranzo.       

lunedì 28 marzo 2011

0 Ristorante Ammentos Cagliari

Situato in via Sassari questo ristorante si pone come uno degli ormai tanti locali tipici sardi disseminati ne centro storico di Cagliari. All’ingresso sono esposte le varie tipologie di menu (antipasto+secondo+dolce; antipasto+primo+dolce; antipasto+primo+secondo+dolce) che vanno in un crescendo di portate e conseguentemente di prezzo. Penso non si possa scegliere alla carta ma potrei essere smentita perciò mi limito a ipotizzarlo.

Il locale è molto carino, piccolo come la casa dei puffi ma caratteristico e simile ad una tipica casa sarda con panieri e arazzi appesi alle pareti. Di solito si viene accolti dal signor Andrea, gentilissimo e timido, e soprattutto con il marchio MADE IN SARDINIA stampato sulla fronte. Ci si siede nei micro tavoli per due (grave difetto vista la mancanza di spazio per allungare un gomito o volendo essere grezzi per sbottonarsi il pantalone dopo le capienti portate ingurgitate) e si inizia il percorso di gusti.

Partiamo con gli ANTIPASTI (tutti serviti su grossi pezzi si sughero): pane carasau con pomodoro a cubetti, olio e aglio (delizioso e fresco), verdure grigliate che comprendono melanzane, zucchine, funghi di carne, radicchio, cipolle, peperoni (gustose ma abbondanti di aglio perciò se siete in coppia fatevi un favore e mangiate entrambi così eviterete espressioni di disgusto e solitarie notti sul divano), salumi vari (salsiccia, prosciutto, ecc…), pane carasau con pecorino fuso e fettine di pecorino fresco (molto Heidi e molto buono) e occasionalmente frittatine di verdura (l’ultima provata non esaltante a dire la verità) o olive. Volendo ci sono anche gli antipasti caldi che comprendono interiora ma non essendo amante della materia prima non le ho mai prese così come le lumache in umido.

PRIMI: ravioli, maccarrones de busa, malloreddus, culurgiones. Con ragu di carne o con il gorgonzola. Discreti ma senza acuti di vero piacere.

SECONDI: non aspettatevi il porchetto arrosto perché non è contemplato tra le proposte che vanno dal cinghiale, al maiale fino alla pecora (a mio modo di vedere la proposta più interessante). Tutto cucinato come si deve. La pecora con la salsina piccante aveva anche un bel pinzimonio di accompagnamento che ha aiutato nella laboriosa digestione.

DOLCI: piccolo vassoio con dolcetti sardi preparati in casa (alcuni discreti, altri misteriosi e dal gusto non propriamente piacevole) con l’accompagnamento di un moscato a prima vista leggero ma pesante col passare delle ore.

Il VINO è della casa e non è propriamente per tutti, nel senso che non essendo amabile non può essere apprezzato da tutti. Rimane abbastanza secco e devo dire che si sposa egregiamente con le portate tutte abbastanza corpose.

Il conto varia molto a seconda della tipologia del menu ma francamente confrontato con ristoranti similari si presenta ahimè più alto e con la grave pecca della poca scelta delle portate e con un vino così così. Sono andata nel locale tre volte e devo dire che già alla seconda il mio primo giudizio (molto positivo) andava in calando fino ad arrivare ad un voto piuttosto basso con la terza e ultima volta. Se si decide di provarlo non si rimarrà delusi ma non fatene un’abitudine consolidata o la vista ripetuta delle stesse 3 portate arriverà a farvi odiare questo posto.    

venerdì 18 marzo 2011

0 No al nucleare!!!

Mai mi convincerete, voi signori del potere (potere destroide perciò notoriamente e oggettivamente ignorante nella sua totalità) dei benefici dell’energia nucleare. Grazie ma i “benefici” li sto già ampiamente apprezzando ogni giorno nei tg e nei quotidiani e dico NO GRAZIE, preferisco vivere e pagare piuttosto che trovarmi con la grossa C attaccata alle spalle con un chiodo radioattivo. Ci vogliono convincere che si tratti di energia pulita ma così non è, non è sicura e mai lo sarà. Hanno voglia di togliere fuori dal cilindro le solite stronzate qualunquiste che vogliono equiparare l’ipotetica caduta di un ponte ad un disastro mondiale come questo che stiamo vivendo. Se un ponte crolla (a meno che non parliamo del ponte di Brooklyn o del berlusconissimo e fortunatamente immaginario ponte di Messina) muore un numero di persone inferiore a quello che viene contaminato dalle simpatiche radiazioni che trascinano la tragedia ben oltre il nostro presente, generando bambini o animali già malati o predisposti alla malattia. Questo bel governo ci vuole far credere le cose più impensabili con la strategia delle bugie catastrofiche dei comunisti. Perché ormai chiunque si allontani dalla strada folle tracciata da quel metro e mezzo di merda liftata è comunista. Sbagli caro Nano con i capelli dipinti come quelli di Pinocchio, sbagli di grosso caro puttaniere che aiuti le tue cortigiane a pagarsi il dentista. Chi non la pensa come te non è comunista bensì INTELLIGENTE, ONESTO E DOTATO DI NEURONE. Farete comunque le vostre belle centraline nucleari, al di là di un referendum in cui non andrà a votare nessuno (tranne chi si preoccupa del mondo oltre che di se stesso o del proprio culo abbronzato), perché in Italia funziona così: ci danno una volta ogni 1000 anni il potere di decidere per il nostro interesse e non andiamo a votare. Stiamo a casa. Facciamo gli indecisi come in quella bella pubblicità sessista proprio rivolta al Nucleare. Se non sai cosa fare (soprattutto tu donna) stai a casa e non rompere il cazzo. Io dico basta, dico ALZIAMO LA TESTA e rendiamoci conto di chi ci sta governando.

martedì 8 marzo 2011

0 Dylan Dog 163 – Il mondo perfetto

Sceneggiatura: Tiziano Sclavi

Disegni: Corrado Roi

Trama: Dylan si sveglia in una casa di campagna che non conosce e soprattutto sembra soffrire di una profonda amnesia riguardo alla sua stessa identità. Le stranezze continuano quando gli abitanti della casa lo chiamano Rupert e gli spiegano la sua situazione: lui fa parte della famiglia Donegal e a causa di un brutto incidente è stato in coma per 3 anni risvegliandosi solo pochi mesi prima con queste amnesie che vanno e vengono. Nonostante l’impressionante buco di memoria, Dylan vive ogni tanto dei flash back che gli ricordano momenti della sua vera vita nonostante l’insistenza della sorellina Joy nel convincerlo di una vita a lui sconosciuta. Tutti gli altri abitanti della casa sembrano avere una gran paura di contrariare Joy e lei stessa cerca in tutti i modi di sviare qualunque tipo di discorso intavoli Dylan. Quest’ultimo inizia a fare una serie di incubi che sembrano però molto reali e che gli mostrano i vari personaggi della casa come delle bambole e non come esseri umani in carne e ossa. Il mistero si infittisce ma piano piano Dylan riacquista la memoria fino ad arrivare a ricostruire il momento in cui è iniziato l’incubo..

Commento: in ogni pagina si sente forte la presenza di Sclavi nel creare soggetto e sceneggiatura. Una malinconia che traspare evidente soprattutto nel finale, un albo malinconico come tutti quelli di Sclavi, dove il male non esiste ma solo incomprensione e solitudine, veri mostri della nostra società. Il tema della bambina non nata non è nuovo ma difficilmente è facile trovare dopo tanti anni un’idea veramente originale e questa tutto sommato è degna di rispetto. La storia è confusionaria per 3/4 ma poi tutto viene spiegato, magari un po’ frettolosamente ma non vi preoccupate che niente viene lasciato in sospeso. I disegni di Roi continuano a non piacermi ma forse in questo contesto onirico non sono poi così sbagliati e anzi assumono una loro importanza nel raccontare una vita non vita. La copertina è davvero molto bella.

Voto: 6  

martedì 1 marzo 2011

0 Buick 8 – Stephen King

Ecco un piccolo libro che non ha la pretesa di cambiare il mondo o porsi sul gradino più alto della letteratura americana. E’ un libro semplice (per alcuni anche sempliciotto forse), un libro che si legge tutto d’un fiato e che alla fine dei conti non lascia molto tranne la sensazione di aver letto un buon libro di fantascienza e nulla più. Scritto nel periodo più nero del nostro amato Re (pre e post incidente stradale) si presenta come un prodotto con tutte le carte in regola per allietare il lettore dell’ultim’ora e far sorridere quello più smaliziato e più fedele. La storia è stralunata e semplice allo stesso tempo: una bellissima Buick 8 viene lasciata da un misterioso personaggio ad una stazione di benzina della Pennsylvania e da qui portata alla più vicina Polizia di Stato. I problemi iniziano subito. La macchina non è una vera macchina ma quasi un grosso giocattolone in quanto tutti i comandi sono finti e i copertoni sputano fuori qualunque granello di terriccio o di polvere. In più ogni tanto decide di partorire piccole e grandi stranezze dal bagagliaio chiedendo come ricompensa vite umane o animali capitate inconsapevolmente nelle sue vicinanze e assorbite verso un mondo alieno e sconosciuto. I poliziotti prima si stupiscono, poi si incuriosiscono e infine la prendono come una delle tante magagne del loro difficile lavoro. Un segreto da custodire e da tramandare da poliziotto a poliziotto senza soluzione di continuità.

I difetti sono principalmente due: la traduzione che non è opera del mio amato Tullio Dobner e lo si percepisce dalla totale assenza di ironia e dalla traduzione quasi scolastica e priva di verve. Difetto numero due: l’ambientazione. Si capisce molto bene che King non conosce la Pennsylvania tanto è vero che non la descrive e lo fa volutamente visto che lui stesso ammette di essere totalmente ignorante in materia in quanto da sempre abituato a scrivere del vecchio e a lui caro Maine. Però l’idea del libro è nata lì e come omaggio ha ritenuto necessario trapiantare le radici della storia in questo paese che rimarrà a noi sconosciuto, più una scenografia di cartapesta alle spalle dei protagonisti che uno scenario vero e tangibile.

I personaggi non sono malaccio, forse poco caratterizzati e un po’ troppo dentro alle righe ma tutto sommato non disturbano la storia visto che la protagonista quasi assoluta è Lei, la Buick che quando decide di darsi da fare fa scendere la temperatura e dà vita a un susseguirsi di luci stroboscopiche ed effetti speciali da film di seconda o terza fascia. Graziosissimi i doni che porta dal suo strano mondo: pipistrelli, scarafaggi verdi, terra che puzza e gigli bianchi…ma anche cose più inquietanti e vitali che non svelo per non rovinare la sorpresa a chi ancora deve leggere il romanzo. Certo io qualche spiegazione in più l’avrei messa: che cos’è veramente la macchina? chi è lo strano personaggio che abbandona la macchina e sparisce dopo una fulminea comparsata? cosa ne sarà della Buick quando tutti i poliziotti che se ne sono presi cura moriranno? Forse però a pensarci bene, soprattutto quando si parla di libri di Stephen, la cosa più ragionevole è non avere troppe spiegazioni visto che a volte non tutte quelle che tira fuori dal suo capiente cilindro sono apprezzabili, anzi spesso si rivelano brutalmente deludenti. Il finale aperto in questo caso fa guadagnare un mezzo punto in più al libro, proprio perché ognuno di noi è libero di darsi le risposte che più gli aggradano.

In definitiva un buon libro.

Voto: 7,5   

 

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