venerdì 27 luglio 2012

0 Wanted–Scegli il tuo destino (2008)

Wesley Gibson (James McAvoy) è un anonimo contabile che soffre di continui attacchi di panico nei momenti di maggior nervosismo e stress, ha anche una fidanzata che gli mette le corna col suo migliore amico e per finire è povero in canna…ma tutto cambia quando incontra Fox (Angelina Jolie), una bellissima donna che gli salva la vita quando un misterioso uomo cerca di ucciderlo. Wesley viene poi condotto in uno strano monastero dove gli viene spiegato che in realtà i suoi attacchi di panico sono dei poteri atavici che ha sempre avuto dentro di sé senza però capire come usarli. E così inizia per il ragazzo un durissimo allenamento in cui arriva spesso ad un passo dalla morte per poi ritornare a rigenerarsi attraverso delle vasche particolari. Impara così a sparare pallottole che prendono una direzione curva, a lottare come un superuomo e insomma a diventare il degno erede di suo padre, fino a poco tempo prima uno dei più importanti adepti della Confraternita della quale ormai è diventato membro anche lo stesso Wesley. Sloan (Morgan Freeman), il capo di tutta la baracca, spiega al ragazzo che il suo compito è quello di eliminare tutti coloro che vengono indicati da un grande telaio presente nel cuore dell’edificio, che in pratica è una sorta di oracolo che indica di volta in volta le persone che meritano di morire per azioni particolarmente efferate che hanno già compiuto o che compiranno nella loro vita. In realtà lo scopo di Sloan è quello di allenare il ragazzo per uccidere l’assassino di suo padre, un uomo praticamente imbattibile e desideroso di eliminare chiunque faccia parte della Confraternita.

Il film è il classico esempio di action movie con sapiente e copioso uso di scene al rallentatore (soprattutto nelle abbondanti sparatorie) acrobazie impossibili e inseguimenti in macchina al cardiopalma. Il tutto mescolato con la storia sempre intrigante dello sfigato che si scopre giustiziere, un po’ Spiderman ma con più sangue e violenza.

A mio parere è un film godibilissimo e intelligente nel piazzare il colpo di scena proprio nel momento giusto, né troppo presto né troppo tardi, giusto in tempo per godere di altri bei momenti di vendetta inesorabile e sanguinolenta. Che dire? Ormai il gusto del pubblico pagante viaggia verso questa direzione e il gran successo al botteghino conferma questa tendenza. Io generalmente apprezzo questo tipo di film ma senza svenarmi più di tanto soprattutto perché davvero non portano elementi di grande novità, sono più che altro funzionali allo scopo di movimentare un po’ la serata di chi sceglie di trascorrerla con un secchiello di pop corn e la propria ragazza nel sedile affianco. Non ci vuole intelligenza per seguire pellicole di questo tenore e il loro segreto è proprio questo: divertire senza creare riflessione. Un po’ poco per gli intenditori, fin troppo per chi è un fan sfegatato del Gladiatore o similari, ricchi di combattimenti, sangue e dialoghi a effetto.

Il protagonista ha la faccia tutto sommato giusta, sfigato quanto basta per non credere troppo al fisicaccio che viene fuori a metà film, la sua faccia comunque non mi è nuova e infatti leggo che ha recitato il ruolo del Fauno in quel pacco di film che è il primo episodio delle Cronache di Narnia…in effetti già allora aveva notato questo viso così particolare, anche se a dire il vero è molto simile a Muccino piccolo e davvero non è un complimento. La Jolie sembra sempre che interpreti lo stesso personaggio e a dire il vero il ruolo della combattente con pistola lo svolge bene, niente brividi ma penso che al popolo maschile qualche vibrazione la regali e buon per lei. Morgan Freeman è sempre lui, non mi è mai piaciuto e non sarà certo questo film a farmi cambiare idea.

VOTO 6,5 

mercoledì 25 luglio 2012

2 Hellboy (2004)

Hellboy è un demone rosso che ama i gatti, i Baby Ruth e fumare i sigari. Si spunta le corna quotidianamente e ha un’età di circa 30 anni nonostante sia nato nel 1944 durante la notte in cui i Nazisti aprirono per pochi istanti un portale per far entrare nel nostro mondo le creature dell’inferno. Egli è stato adottato dal Professor Bruttenholm quando era solo un cucciolo spaventato e goloso di merendine al cioccolato e da allora fa parte di una sezione speciale della polizia governativa: il BPRD che si occupa di affari misteriosi e legati al paranormale. Insieme a lui un altro collaboratore prezioso è la creatura anfibia chiamata Abe, intelligentissimo e capace di conoscere il passato il presente e il futuro di ogni essere vivente con cui entra in contatto. A completare la triade c’è Liz, una ragazza capace di scatenare incendi con la sola forza di volontà. Un giorno però ritorna sulla Terra Rasputin, consigliere dei Romanoff ed esperto di magia nera, morto durante la famosa notte di cui sopra. Il suo proposito è quello di riaprire il portale e per farlo ha bisogno di Hellboy che ovviamente non è dello stesso parere poiché fin da piccolo la sua decisione è stata quella di stare dalla parte del Bene e rifiutare perciò la sua natura diabolica. A questo punto Rasputin idea una trappola per poter comunque incastrare il nostro buon HB.

Il film è meraviglioso, superiore a tante altre produzioni similari che dall’inizio del 2000 hanno mietuto successi al botteghino grazie alla presenza di supereroi provenienti dalla carta stampata. Qui c’è poesia, azione, tantissima ironia e un uso magistrale del trucco e degli effetti speciali. Gran parte del merito va al grande regista Guillermo del Toro (anche sceneggiatore del film) che non ha nascosto la sua passione per l’omonimo fumetto di Hellboy. Tutto funziona come un meccanismo ben oliato, i protagonisti hanno esattamente l’aspetto che dovrebbero avere, soprattutto chiaramente Ron Perlman, un attore con una faccia talmente particolare anche senza trucco da risultare perfetto nella parte di un diavolo ironico e romantico che condisce le sue espressioni con “faccia di cacca”, “cacchio” e via dicendo. Amazing!!! Non era facile per un attore della sua età (classe 1950) entrare nei panni di questa creatura rossa e forzuta e invece se la cava alla grandissima, certamente aiutato dalla computer grafica, da stuntman e tutto quello che si usa in questi casi ma comunque “sul pezzo” in tutte le sequenze che lo vedono semplicemente dialogare o fare espressioni incazzose, divertite o tristi.

Il resto del cast è adeguato e il finale è ovviamente aperto così da preannunciare un sequel che infatti ha visto la luce nel 2008 e che conto di vedere quanto prima viste le sensazioni positive che mi ha regalato questo primo bell’episodio. Ho trovato particolarmente bella tutta la parte di film che si svolge all’interno del mausoleo, sarà che sono preda del fascino dei cimiteri ottocenteschi o sarà la passione per tutto ciò che è labirintico ma ho davvero goduto appieno di tutto quel ben di Dio che ha offerto la seconda parte del film. Bellissima poi la trovata dello scheletro mezzo scarnificato che guida la compagnia verso il mausoleo stesso. Ripeto un film da vedere e rivedere.

VOTO 8,5 

martedì 24 luglio 2012

0 X-Men Conflitto finale (2006)

Stavolta gli X-Men (ahimè ridotti di numero dopo l’amaro finale del secondo capitolo e in seguito colpo di scena delle battute iniziali della qui presente pellicola) devono affrontare un altro compito ingrato: salvare gli umani dalla furia di Magneto che vuole eliminare un Mutante (rinchiuso nel carcere di Alcatraz) utilizzato dal governo americano per la cosiddetta “cura”, ossia un’iniezione capace di trasformare un Mutante in un comune essere umano. Il Boss del Male trova una formidabile arma in Jean, rediviva dopo la morte sacrificale avvenuta nell’episodio precedente. Ella però non è più la dolce donna che tutti i suoi amici ricordano, ma un vero e proprio mostro imbattibile che si rivolta contro la sua stessa compagnia ormai vinta dalla sua parte malvagia e insensibile alle suppliche del suo antico amore Logan.

Il film è molto bello ma a mio parere inferiore a X-Men 2 che aveva una trama decisamente più coinvolgente e in qualche modo più avventurosa. Al centro c’erano gli X-Men, tutti uniti per salvare il loro amato capo, qui invece abbiamo un intreccio di più ampio respiro che sposta l’attenzione verso dinamiche più generaliste, ossia la lotta tra umani e mutanti, i diversi schieramenti e la spettacolarizzazione delle varie “doti” dei nuovi ingressi nella famiglia dei Mutanti. Tutto molto bello certo ma la sensazione è che manchi qualcosa di fondamentale, tipo, che so l’attenzione nella caratterizzazione dei personaggi. In questo caso per esempio Halle Berry/Tempesta non è altro che una squinternata con i capelli posticci e gli occhi che di tanto in tanto diventano bianchi ma che poveretta non riesce mai a mettere in pratica il suo potere, in realtà quasi limitato visti i 90 minuti di film in cui non riesce davvero a fare niente. Logan è sempre lui ma con un po’ di stanchezza. Scott sparisce nel dimenticatoio in maniera veloce e indolore. La fantastica Mystica è solo una comparsa. Jean è un automa senza coscienza. E alla fine della fiera i personaggi che hanno catturato maggiormente la mia attenzione sono stati i ragazzi: Bobby e Kitty. Assolutamente e colpevolmente trascurati altri due personaggi che potevano avere delle potenzialità interessanti, ossia Jimmy e Warren.

Peccato perché il film comunque è un vero piacere per gli occhi e merita di essere visto anche solo per alcune divertenti battute che costellano il film e che alleggeriscono alcuni momenti di tensione che ovviamente non mancano in un’epopea di questo livello.

VOTO 7

lunedì 23 luglio 2012

0 Banlieue 13 (2004)

Per l’ennesima volta mi tocca ripetere: W LA FRANCIA!!! Ma ci rendiamo conto di quanto è perfetto questo piccolo film action?

La trama sarà forse scontata ma tocca vette di pura frenesia dal primo all’ultimo secondo riuscendo a tenere lo spettatore letteralmente attaccato alla sedia. I due protagonisti Damien e Leito hanno infatti il compito ingrato di disinnescare una bomba che rischia di mandare a morte milioni di persone nel raggio di 8 km. Dimenticavo: siamo a Parigi, ma in una Parigi del 2010, quindi sei anni dopo l’anno di distribuzione del film, in un ipotetico e grigio futuro. E così come nei migliori filmoni americani degli anni 80 (primo fra tutti 1997 Fuga da New York) anche qui ci troviamo alla mercé di un quartiere malfamato e perciò diviso dal resto della città da un alto muro di cemento. Il governo francese è ormai propenso a eliminare l’annoso problema grazie all’ausilio di una bomba che viene piazzata proprio all’interno del quartiere denominato Banlieue 13. A questo punto Damien e Leito pur divisi da una divisa, il primo infatti è un poliziotto mentre il secondo un detenuto, collaborano per disinnescare la bomba nel breve tempo rimasto a disposizione.

Senz’altro l’elemento catalizzatore del film sono le numerose e fantastiche evoluzioni dei due protagonisti che oltre a fare gli attori sono degli importanti stuntman e massimi esperti di quella disciplina particolarissima chiamata parkour che si esplica attraverso un uso del corpo funzionale al superamento di ostacoli fisici di ogni tipo o nel compiere salti da un palazzo all’altro senza uso di nessun sistema di sicurezza ma solo grazie alla propria sinuosità e forza fisica. Tutto questo si presenta altamente spettacolare unito ovviamente alle classiche mosse di arti marziali che in un film di questo tipo non mancano mai.

Un piacere per gli occhi e un alto contributo di adrenalina. Spettacolo!

VOTO 7 

domenica 22 luglio 2012

0 Quel treno per Yuma (2007)

Il western come qualcuno saprà è un genere cinematografico antico quasi quanto i Lumière, risalente ai primi del Novecento e poi sviluppatosi e affermatosi in via definitiva a partire dagli anni Trenta. Il suo periodo d’oro sembra esaurirsi alla fine degli anni settanta quando il genere viene ritenuto probabilmente sorpassato dalle case di produzione e di distribuzione ed ecco perché è quasi d’obbligo stupirsi a vedere l’anno 2007 accanto ad un film western (ricordiamo remake dell’omonimo film del 1957).

Il cast è di tutto rispetto grazie alla presenza di due veri e propri giganti di Hollywood: Christian Bale nella parte di Dan, veterano della guerra civile e eroe per caso, e Russell Crowe nelle vesti di Wade ricercato numero 1 e capo di una banda di rapinatori. I due si dividono la scena in modo direi equilibrato nel senso che entrambi svolgono il loro compito in maniera egregia, non rubandosi la scena ma anzi portando avanti l’eterna dicotomia tra Bene e Male, con la differenza che qui i contorni appaiono decisamente più sfumati rispetto ai canoni del genere western. Wade infatti rappresenta il cattivo capace nel momento topico di mostrare il suo lato onesto, imprigionato in una parte negativa che trova le sue radici in episodi tragici risalenti sua vita passata. Conosce e rispetta il codice d’onore di un vero uomo e del resto definisce i suoi compari come un branco di animali, prendendone di fatto le distanze. Sul finale questa presa di posizione diventa concreta nell’esecuzione dei suoi compagni di rapine, colpevoli di aver ucciso un uomo probo nonostante il suo ordine di non sparare. Questo personaggio così carismatico, imperscrutabile e ricco di valori ricorda da vicino un altro eroe western, cioè Ringo di Ombre Rosse, film che d’altra parte rappresenta un vero e proprio modello per la pellicola di James Mangold. Dan invece è un personaggio più vicino alla moderna cinematografia americana, sempre interessata ai legami famigliari, soprattutto a quelli rappresentati dalla relazione spesso complicata tra padre e figlio. Dan è un veterano di guerra che non è stato congedato da eroe in quanto la ferita che si porta appresso non è altro che il risultato di una pallottola sparata inavvertitamente dalla pistola di un suo compagno. Questo fatto condiziona tutta la sua vita compreso il rapporto col figlio che lo vede solo come un vigliacco incapace di opporsi con le armi ad un sistema che lo sta annientando. La sua riscossa nasce proprio dal viaggio che decide di intraprendere, guidato inizialmente solo dal bisogno di racimolare una somma di denaro che gli permetta di salvare la sua terra, ma poi ciò che prevarrà sarà la voglia di riscattarsi agli occhi del figlio e di se stesso compiendo un’impresa impossibile, solo contro una schiera di fucili puntati addosso.

Nella pellicola vengono rispettati i classici canoni del genere western, quindi grande predominanza del paesaggio sull’uomo con campi lunghi e lunghissimi oppure uso di primissimi piani per mettere in risalto i momenti di maggiore tensione del film. Il tema del viaggio è ovviamente fondamentale così come la presenza di un piccolo gruppo di persone costrette alla collaborazione per arrivare ad uno scopo comune. Non mancano neppure le sparatorie, i saloon e la polvere che si alza dal selciato al passaggio di cavalli al galoppo. Insomma l’operazione di ricostruzione del vecchio west è del tutto riuscita con una cura particolare per i dialoghi e per la recitazione (almeno per quel che riguarda i protagonisti principali).

Forse l’unico appunto che mi sento di fare riguarda quel senso di ridicolo che nasce dagli spari a vanvera di Dan quando sta trascinando (o meglio si sta facendo trascinare) Wade verso la stazione. Incredibilmente alcuni vanno a segno ma va beh questo è un po’ tipico del genere e quindi chiudiamo serenamente un occhio. A me il film è piaciuto molto e non è per niente pesante, anzi fila via liscio come l’olio a differenza di tanti vecchi western veramente indigesti per lo stomaco di un neofita.

VOTO 7,5 

venerdì 20 luglio 2012

0 Sogni e delitti (2007)

Cassandra's Dream è un thriller ricco di momenti angoscianti ed è sorprendente pensando che si tratta di un film di Woody Allen, regista anche di un altro bel film più o meno sullo stesso tenore e ambientato anch’esso nel Regno unito, ossia Match Point.

La storia parla di due fratelli molto uniti, Terry (Colin Farrell) e Ian (Ewan McGregor) che decidono di acquistare con i loro pochi risparmi una piccola imbarcazione per esaudire uno dei loro sogni da quando erano bambini. Per loro rappresenta una piccola felicità nella loro vita poco esaltante, Terry infatti fa il meccanico e tutto quello che guadagna lo spreca nelle corse dei cani o nel poker, Ian invece aiuta il padre a salvare il ristorante di famiglia dal fallimento ma in realtà vorrebbe andare via da Londra e vivere di rendita in California, investendo i suoi risparmi in qualche affare poco chiaro. La vita però non è poi così male, in fondo Terry ha una moglie che lo ama appassionatamente e Ian conosce una bella ragazza che fa l’attrice di teatro. Il destino però bussa alle loro porte preannunciando qualcosa di oscuro: Terry è minacciato dagli strozzini e Ian è ormai stufo della sua vita perciò l’unica soluzione è chiedere aiuto allo zio Howard, un chirurgo di fama mondiale, ricchissimo e proprietario di cliniche sparse ovunque. Lo zio si mostra subito ben disposto ma in cambio vuole che i nipoti uccidano per lui un uomo che minaccia di farlo finire in carcere per il resto della vita. A questo punto per i due fratelli si pone davanti un bivio: superare da soli le proprie difficoltà mantenendosi così integri a livello morale o accettare lo scambio di favori e veder cambiate per sempre le proprie vite…

Il film mi ha preso molto. In alcuni momenti l’ho trovato davvero inquietante tanto da condividere il panico che investe Terry e Ian quando sono a un passo dal commettere l’omicidio. Ogni respiro, ogni inquadratura comunica l’ansia dei protagonisti, trasformatisi in assassini per futili motivi. Degno di nota anche il finale, molto in linea con Match Point, visto che entrambi i film stravolgono tutto quello che ci si aspetterebbe dopo aver assistito ai minuti precedenti l’ultima sequenza.

I due protagonisti sono abbastanza convincenti anche se ho trovato Farrell eccessivamente piagnucoloso e McGregor con troppa faccia tosta. Per assurdo avrei scambiato i due ruoli anche se Farrell è decisamente un credibilissimo meccanico. In questo film riveste il ruolo del fratello più fragile, quello che fino all’ultimo non vuole commettere un omicidio e quello che per primo mostra segni di rimorso per quello che ha fatto. McGregor invece è l’uomo ambizioso, capace di passare sopra a tutto pur di realizzare i propri sogni. L’uomo che non può credere di aver trovato una donna tanto bella e di classe e che proprio per lei costruisce un personaggio che in realtà non esiste: guida macchine d’epoca che in realtà si trovano nell’officina del fratello, si definisce uomo d’affari quando si barcamena in un ristorante a rischio chiusura. Ian è un uomo finto e senza rimorsi, Terry invece è un uomo concreto ma che ha le debolezze di un’anima troppo fragile.

Il resto del cast è poca cosa, più comparse che protagonisti, in realtà poco funzionali anche al racconto che in realtà procede più per sensazioni e dialoghi che per azioni concrete, il che è molto Allen a pensarci bene. Perfino il modo di recitare dei protagonisti è molto Woody, assai nevrotico e balbuziente.

Insomma, non ci troviamo davanti ad un film spettacolare ma comunque è piacevole e a tratti coinvolgente assistere alla parabola discendente di due persone normali che finiscono per uccidere un loro simile e rinunciare così ai loro sogni e alle loro semplici ma oneste vite.

VOTO 7   

martedì 17 luglio 2012

2 X-Men 2 (2003)

Ci sono film e FILM e X-Men 2 appartiene alla seconda categoria. Ho aspettato ben nove anni prima di mettermi comodamente davanti allo schermo per assistere alle vicende dei mutanti inventati e portati al successo dalla Marvel. E’ stato letteralmente uno spettacolo per gli occhi e anche per il cuore viste le emozioni che si sprigionano in due ore di film senza un attimo di tregua.

Da una parte abbiamo i comuni esseri umani e dall’altra i Mutanti, persone che possiedono poteri particolari e che hanno (a volte) un aspetto diverso dal normale. Per entrambi i motivi vengono ritenuti una minaccia per l’intero genere umano nonostante nella maggior parte dei casi si tratti di persone che hanno un cuore generoso e una gran voglia di essere semplicemente rispettati. Proprio per la loro difficile situazione di emarginati, fin da bambini vengono cresciuti nell’ambiente protetto dell’istituto guidato dal Professor X ed è qui infatti che troviamo gli arcinoti Wolverine, Tempesta, Jean e Ciclope.

Il cattivo di turno è Stryker, un uomo che odia i mutanti e li vuole sterminare con le loro stesse armi, rappresentate in maniera particolare da Cerebro, un dispositivo potentissimo che riesce a individuare tutti i mutanti presenti sul pianeta Terra. Ovviamente il suo uso da parte di Stryker è del tutto malvagio: individuare per poi uccidere. Per farlo però ha bisogno del Professor X, l’unico in grado di mettere in funzione Cerebro. L’uomo viene imprigionato con una trappola e costretto contro il suo volere a mettere in pratica il terribile piano sotto la minaccia del figlio di Stryker, Jason, un mutante dai poteri mentali invincibili. A questo punto spetta ai nostri eroi entrare in azione per salvare i propri simili e il professore.

Ciò che mi è piaciuto di più di questo film è forse la sensazione netta che nessuno dei mutanti sia in grado di farcela da solo. Sono sì superuomini ma allo stesso tempo hanno bisogno di collaborare per riuscire nell’impresa. Questo ovviamente distingue X-men da Spiderman, Batman, Hulk, Thor e via dicendo. Tutti personaggi che hanno successo perché fanno tutto soli. Qui invece c’è più realismo e anche tanta amarezza. Non si sentono eroi e non credono di avere una responsabilità rispetto al genere umano, vogliono solo proteggere se stessi anche a costo di vivere isolati o nascosti rispetto al resto degli uomini. Quando assistiamo alla sequenza dedicata a Bobby (uomo ghiaccio) c’è quasi una volontà da parte degli sceneggiatori di accomunare la situazione del ragazzo diverso perché mutante a quella per esempio di un giovane omosessuale che viene rifiutato dalla famiglia. Bobby vorrebbe vivere coi suoi ma è costretto a stargli lontano perché loro non lo vogliono, ne hanno paura, la madre arriva addirittura a chiedergli se ha provato a smettere di essere un Mutante come se questo fosse possibile.

Il film quindi oltre a divertire punta molto più in alto, contribuendo a mettere in risalto la situazione del diverso in un mondo dove è accettata solo la  normalità. Illuminante a questo proposito anche il bellissimo personaggio di Nightcrawler, dall’aspetto spaventoso ma dagli altissimi ideali. Lui dice una cosa come “la gente non riesce ad andare oltre quello che vede” e lo dice perché oltre ad essere un mutante, ha anche un aspetto a prima vista spaventoso, tanto da lasciare interdetti e un po’ diffidenti anche gli stessi X-men (in effetti tutti dotati di bell’aspetto).

Per quel che riguarda gli altri personaggi, ho trovato insulso e alquanto gnè gnè Ciclope, bella e fragile Tempesta, affascinante e indecisa Jean e ovviamente una spanna sopra tutti Wolverine, incazzato col mondo e figaccione a prescindere (soprattutto agli occhi delle donne del cast). Magneto vero cattivo del film, ma con quell’ironia che lo rende irresistibile e fantasmagorica Mystica.

Insomma un film da vedere anche più di una volta magari con un bel secchiello di pop corn e una bibita ghiacciata.

VOTO 8        

venerdì 13 luglio 2012

0 Il settimo sigillo (1957)

Film estremamente complesso. Niente di strano trattandosi di un’opera di Ingmar Bergman, regista che mi vergogno a dire conosco veramente solo di fama. Molti giudicano questa pellicola come un vero e proprio capolavoro ed io mio malgrado non riesco a spingermi così avanti, forse proprio perché non conosco bene il regista o perché non è un genere che mi cattura nonostante l’ambientazione splendidamente medievaleggiante.

Ecco sicuramente quello che mi ha colpito di più è stato il paesaggio scandinavo, soprattutto in apertura e in chiusura quando le onde che si infrangono sulla scogliera riescono a procurarmi più di un’emozione, essendo una grande appassionata di mare e di paesaggi marini soprattutto se burrascosi e incontaminati.

Il Medioevo è il periodo storico di riferimento con al centro un cavaliere di ritorno da una Crociata, accompagnato dal suo scudiero, un uomo tenacemente ancorato alla materialità della vita a differenza del suo mistico signore, uomo senza fede ma con un grande e insopportabile desiderio di conoscere Dio. Il cavaliere però viene raggiunto dalla Morte, una figura inquietante che finisce per concedere ad Antonius un’ultima partita a scacchi che possa concedergli la salvezza. La partita si interrompe e prosegue lungo tutto il film per poi concludersi in modo alquanto scontato a seconda dei punti di vista.

Lungo il viaggio che porta il cavaliere, il suo compagno d’armi e una piccola compagnia formatasi lungo il cammino verso il castello, assistiamo a varie situazioni tipiche dell’epoca più oscura dell’Età di mezzo: processioni di flagellanti, predicatori che annunciano la fine del mondo, uomini e donne mangiate dalla peste, diffidenza e paura diffuse tra la sparuta popolazione che si manifesta in un fanatismo religioso estrinsecato dalla messa al rogo di una ragazza accusata di aver avuto rapporti carnali col diavolo.

Tutto questo crea un’atmosfera affascinante e suggestiva ma gli elementi di forza secondo me sono la recitazione di altissima scuola (grazie anche ad un doppiaggio da premio Oscar), la colonna sonora che rieccheggia le melodie medievali e la fotografia, veramente d’impatto.

Un film difficile e sicuramente non per tutti i palati, poco ritmo ma tanta dottrina e filosofia. Per estimatori.

VOTO 7

0 Sunshine (2007)

Non conoscevo assolutamente questo titolo ma la trama aveva tutto per catturare la mia attenzione e farmi scendere la classica bavetta laterale sintomo di dipendenza da film di fantascienza alla Alien, per intenderci quelli con un equipaggio striminzito che finisce per essere decimato nell’arco di 90 minuti di pura tensione e salti improvvisi sulla poltrona.

Anno 2057. La missione degli intrepidi astronauti stavolta è quella di riaccendere il Sole, la stella che ci dà la vita, ci dà da mangiare frutta e verdura e permette a molte donne di avere una bella abbronzatura  (o scottatura) da raggi Uva. Il Sole infatti si sta spegnendo ed è necessario che qualcuno sacrifichi la sua vita per lanciargli dentro una bella bomba atomica per “riattivarne i motori”. Parte così l’Icarus II che visto il numeretto affianco al nome è ovviamente una copia di un primo prototipo che però non è riuscito a compiere l’impresa e si è arenato nei pressi del Sole ben sette anni prima.

Fanno parte dell’equipaggio il capitano Kaneda (il nipponico comandante supremo), la biologa Cory, il fisico Capa, il primo ufficiale Harvey, il matematico Trey, la co-pilota Cassie, l’ingegnere Mace e lo psicologo Searle. Tutti sono animati dai più grandi entusiasmi e a mano a mano che si avvicinano al Sole cresce la speranza di ridare la vita alla Terra, ormai avvolta dalle nevi e dal freddo perenne. Qualcosa però va storto quando iniziano a ricevere delle strane comunicazioni dal defunto Icarus I. A questo punto la squadra si spacca in due, tra coloro che vogliono avvicinarsi alla nave spaziale e gli altri che vogliono completare la missione. Ovviamente (altrimenti non ci sarebbe stato il film) si decide di entrare nella navicella per scoprire amaramente di aver fatto la cazzata più grande del mondo. Prima di tutto il matematico combina un casino pazzesco con l’allineamento dello scudo e porta a morte certa il capitano oltre a mandare a puttane la serra che permetteva all’equipaggio di avere ossigeno sufficiente per sopravvivere. Il resto del film non lo racconto perché rovinerei le molte sorprese che lo rendono gradevole e molto ben realizzato.

Spesso quando recensisco un film bacchetto un po’ gli sceneggiatori per l’assoluta mancanza di originalità dei loro copioni ma stavolta devo rendere merito ad Alex Garland e al regista Danny Boyle che confezionano un buon film di fantascienza dal sapore anni 70/80. L’angoscia c’è tutta sia nel momento in cui l’ossigeno viene a mancare sia quando si scopre che la navicella ospita una vita supplementare, un clandestino delle stelle se così lo vogliamo chiamare. Il finale è molto bello anche se inevitabilmente triste, molto più di Alien che perlomeno una vita la risparmiava.

Forse gli unici appunti che mi sento di fare riguardano un certo caos nelle sequenze finali quando risulta difficile seguire l’azione per la troppa luce e per le inquadrature estremamente concitate. Inoltre ho dovuto cercare su Google l’identità del bruciacchiato clandestino dell’Icarus II perché guardando il film non sono proprio riuscita a capire di chi si trattasse. A questo proposito devo dire che la presenza di uno scomodo e sconosciuto inquilino si poteva a parer mio evitare anche perché non è stata poi così determinate a livello di trama visto che sapevamo tutti che l’equipaggio non sarebbe mai potuto tornare sulla Terra e prendersi un po’ di tintarella dopo tanto sbattimento. Ma si sa, i registi di fantascienza sentono sempre di dovere omaggiare Alien con qualche trovata di questo tipo e allora chiudiamo un occhio e rendiamo grazie. Ultima critica: nelle battute iniziali il ritmo è davvero lento e tutto sommato il cast risulta piuttosto freddino ma se si ha pazienza si potrà godere di un’ora e mezzo abbondante di grandi emozioni.

Da vedere.

VOTO 7        

giovedì 12 luglio 2012

0 Pari e dispari (1978)

Forse è il film che mi ha convinto di meno di quelli interpretati dalla mitica coppia Terence Hill e Bud Spencer.

La trama non è granché: coppia di fratelli che non si conoscono perché figli di madri diverse finiscono per collaborare per riuscire a incastrare un greco proprietario di una bisca clandestina. Uno è un tenente dei marines e l’altro è (che novità!) un camionista. Il primo si chiama Johnny e il secondo Charlie (e anche questa non è certo una novità).

Tutto si risolve bene con la classicissima scazzottata finale e con un happy end che fa felici donne, bambini e suore.

Stavolta non mi sono divertita per niente e anzi ho fatto fatica a non sbadigliare e ad arrivare fino ai titoli di testa.

Certo loro sono sempre dei grandissimi anche se tra i due ho sempre preferito il grosso ma intelligente Bud piuttosto che la faccia un po’ idiota di Terence Hill che tutto sommato non mi stupisce affatto che ora abbia deciso di interpretare un prete.

Non ho molto da dire su questo film se non che si svolge nell’assolata Florida e che anche stavolta possiamo godere della mitica fagiolata, ma stavolta mangiata da Bud. Che bontà…

Consigliato agli estimatori

VOTO 6

0 11/07/2012: laurea!

Ieri è un giorno da ricordare soprattutto per l’immensa ansia che mi ha divorato fino all’ultimo secondo prima dell’ora ics. Mi sono laureata per la seconda volta, stavolta una triennale ma cazzo se è stata dura gente. Ho passato gli ultimi due anni e mezzo a galleggiare di nuovo nel mondo universitario e non mi è piaciuto per niente. Mi sono sentita anzianotta rispetto a tutti quei diciottenni e soprattutto non ho mai capito un cazzo la faccenda dei crediti. Cioè in pratica mi sono laureata ignorando beatamente tutto il sistema universitario riformato MALE dal Pdl. Ho studiato ho dato esami su esami e poi è arrivato il momento di dire a tutti vaffanculo a mai più rivederci.

Le sensazioni sono state molto diverse dalla laurea quadriennale. Qui ha prevalso l’ansia e la stanchezza, lì l’emozione e la tenacia di strappare il massimo alla commissione. La mia tesi era anche carina se si sorvola sulla sua ridicola lunghezza, mi ha appassionato e mi ha coinvolto (molto più della maxi tesi di lettere se devo essere sincera) e mi ha dato modo di conoscere più a fondo la storia di un edificio arcinoto della mia città. Ma cavolo farla in un mese e mezzo è stato massacrante, stupido e di tutto questo devo ringraziare (ironicamente) solo una persona, cioè il mio relatore che mi ha dipinto la tesi della triennale come una minchiata pazzesca e quindi decisamente trascurabile in quanto a impegno. Insomma sono arrivata al giorno della discussione con quella sorta di apatia nevrotica che è indice di stanchezza e di forte stress. Ho buttato giù la mia dose quotidiana di fiori di Bach, ho messo in borsetta la mia conchiglia portafortuna e sono entrata nella fossa dei leoni.

Guardavo intorno a me e vedevo tante persone felici con centinaia di parenti intorno pronti a immortalare la minima cazzata. Prendevo distrattamente dalla mano del fotografo il suo biglietto da visita e sentivo il cuore che ormai mi stava rendendo sorda e prossima al vomito. I miei genitori sono arrivati quasi all’ultimo e in effetti erano la mia unica compagnia. Forse è stato meglio così, chissà ma certo un po’ mi sono sentita sola, con un pubblico di sole due persone dietro di me.

Arrivato il mio turno mi sono seduta e dopo la presentazione della mia relatrice ho iniziato il mio discorso ripetuto centinaia di volte a casa con un evidenziatore in mano. Mi hanno interrotto e poi è stata la volta della domanda del contro relatore ed è andata bene anche lì. Tutti fuori e poi tutti dentro. La dichiariamo dottoressa in  beni culturali 110 e lode. Evviva evviva. Strette di mano a destra e a manca e poi ciao ciao.

Ho provato solo un senso di liberazione e certo non è stato gradevole neanche vedere che nell’attestato (che ora ti danno subito) era già stampato il voto. Tanta fatica per niente praticamente. Non ho provato felicità e orgoglio verso me stessa ma solo gioia per aver finito una cosa che non mi ha mai appassionato del tutto, soprattutto perché non mi spalancherà certo le porte del lavoro. E’ solo un titolo in più che in Italia non ha praticamente nessun valore se privo della magistrale, cosa che eviterò accuratamente di fare.

La cosa che mi sono giurata prima di entrare in aula magna è stata: questa è l’ultima volta che provo uno stress del genere. Laurea, master, laurea. STOP.

Sono così stanca che fatico anche a scrivere queste poche righe ma ci tenevo a tener impressa nella memoria e nella pagina scritta le sensazioni quasi a caldo che ho provato. Vorrei dire che è stato bellissimo come la prima volta ma sarebbe una gran bugia. I professori sono i primi a sminuire le nuove lauree e non fanno niente per renderti orgoglioso della tua fatica seppur testimoniata da 50 pagine di tesi piuttosto che 200. Tutto sa di prestabilito e anche l’espressione annoiata e scazzata di parte della commissione è qualcosa di atrocemente e schifosamente italiano. Loro sono pagati per essere lì, prestare attenzione e darti quel minimo di importanza che meriteresti. Io ero già laureata e ne ho sofferto poco, più che altro mi ha fatto incazzare sta cosa, ma penso a tutti quei colleghi che affrontavano la cosa per la prima volta. Poi ho pensato: a loro interessava solo fare bella figura davanti a genitori, zii e nonni e quindi che importa?

Non lo so. Io ricordo tutte facce interessate e un atmosfera elettrizzante. Il momento della proclamazione come il classico giorno di gloria che viviamo una volta nella vita e poi le lacrime che mi scendevano lungo le guance perché allora sì che il voto lo decidevano al momento e non a priori.

Insomma fatto sta che tornata a casa ho buttato tutte le maledette fotocopie, ho cancellato i siti web di tutti i forum universitari che ho consultato negli anni e ho deciso di dedicare i miei prossimi mesi al cazzeggio, fanculo ai concorsi pubblici e fanculo all’università di Cagliari.

lunedì 9 luglio 2012

0 Siamo uomini o caporali (1955)

Difficile commentare un film di Totò…è un po’ come fare la recensione della Bibbia. Antonio de Curtis è il cinema per antonomasia, lo si può amare o detestare ma diventa davvero difficile poter esprimere un giudizio spassionato.

Sicuramente la cosa più bella di questo famosissimo film sta nella notissima  e amara riflessione del protagonista sulla società divisa tra uomini e caporali:

L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: Uomini e caporali.
La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza.
Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama.
I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque.
Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengono, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera! ”.

C’è qualcosa di più vero e lapidario di questo monologo? No. Ricordo ancora di aver letto per la prima volta queste parole in una di quelle grosse antologie della scuola media ma a 12 anni non puoi ancora capire fino in fondo il profondo significato celato in queste poche frasi, bisogna vivere, crescere e sbattere la faccia e allora sì che tutto assume un senso.

Il film del resto non è altro che la traduzione in immagini del rapporto vessatorio tra caporali e uomini: Totò è l’uomo con i principi e i valori ma tutte le volte finisce per essere schiacciato dai caporali, esseri privi di scrupoli e di morale che tiranneggiano e utilizzano il proprio potere per ottenere quello che vogliono.

Persino la donna per cui Totò aveva fatto di tutto e che amava di un amore profondo e rispettoso, persino lei dicevo finisce per cedere alle avances di un ricco uomo d’affari milanese lasciando da solo il pover’uomo che si era fatto in quattro per lei con l’aggravante di definirlo più di un fratello, un padre.

Che tristezza! Potremmo star qui a parlarne per giornate intere ma a volte i film è bello vederli e basta ed è per questo che mi sento di dare il massimo a questa pellicola in bianco e nero, così attuale e per molti versi anche divertente come è d’obbligo in un film della grande maschera napoletana.

VOTO 10

domenica 8 luglio 2012

0 Il mattino ha l’oro in bocca (2008)

Il film è incentrato sul personaggio Marco Baldini, che tra l’altro figura giustamente anche come sceneggiatore della pellicola.

E’ ormai di dominio pubblico il suo amore distruttivo per le scommesse sportive che l’ha ridotto schiavo del gioco e soprattutto in mutande (a questo ho sempre fatto fatica a credere visto il successo in radio praticamente ininterrotto dai tempi di radio Deejay fino a Radio 2).

Baldini ha parlato spesso di questa sua scimmia personale un po’ come ha fatto prima di lui Enzo Ghinazzi, ma entrambi pur piangendosi addosso non hanno mai veramente demonizzato l’amore per il gioco d’azzardo, anzi dicono tuttora di sentirsi ancora attratti dal rischio e questo amici miei non aiuta a renderli ai miei occhi persone degne di compassione ma anzi contribuisce a farmeli stare sul pizzo in maniera permanente.

Tornando al film. Questo voleva essere nelle intenzioni del suo ispiratore un modo per raccontare il modo in cui è entrato nel circuito degli scommettitori e come è approdato ai piani alti delle radio nazionali partendo da Firenze.

Ho trovato il tutto decisamente mediocre, compresa la recitazione di Elio Germano che solitamente è un attore con la A maiuscola ma che in questo caso stecca paurosamente, rimanendo a metà tra la macchietta e lo sprovveduto. Tutto ma proprio tutto non gira. I rapporti con la famiglia sono solo accennati, così come quelli con le donne. Il debito di 300 milioni non sembra nuocere davvero il protagonista che sembra sempre trovare puntualmente la soluzione e non si fa accenno neppure alla cacciata da Radio Deejay che avrebbe come minimo dato un finale sensato a tutto il carrozzone. Si parla di Firenze e Milano ma praticamente non si vede niente che ci rapporti con queste due città. Insomma sembra tutto semplicemente abbozzato e senza vita.

Inoltre il pensiero finale del protagonista non è certo consolatorio in quanto dice chiaramente che l’unico motivo per cui si smette di giocare è solo la mancanza di soldi e non il ravvedimento, tanto è vero che Baldini pensa subito a come recuperare i propri soldi attraverso nuove giocate. Altamente diseducativo oltre che penoso.

Non amo il cinema italiano attuale e vedendo questo brutto film non posso che confermare la tremenda china che sta prendendo il nostro bel paese in campo cinematografico.

Disastro assoluto.

VOTO 4

sabato 7 luglio 2012

0 La cena delle beffe (1941)

 

Che drammone accipicchia! Mentre seguivo divertita le battute iniziali e vedevo sorgere davanti ai miei occhi una Firenze rinascimentale tutta di cartapesta e scenografie allla Mellies, pensavo “ma che cazzata sto guardando?”. La sensazione si ingigantiva nel vedere la parrucca bionda di Amedeo Nazzari e nel sentire il birignao della Calamai. Poi qualcosa accadeva…

La chiamano magia del cinema ed è una cosa bellissima, forse ormai appartenente ad un cinema d’altri tempi, quello che la gente seguiva con la bocca aperta e l’espressione sognante, seduta in scomodi sedili di legno tra fumo denso di sigarette e mormorii di approvazione.

Siamo davanti ad un classico dei classici. Un film molto vicino al teatro con una recitazione da palcoscenico piuttosto che da cinepresa, con attori chiamati a recitare un dramma storico con linguaggio d’altri tempi, ostico all’inizio ma immediatamente godibile una volta entrati nel vivo della vicenda.

La storia è semplice, tutta basata sul desiderio del beffato Giannetto di beffarsi a sua volta del terribile Neri e di suo fratello Gabriello, entrambi colpevoli di trattare come un vile l’uomo ma soprattutto di avergli rubato Ginevra, la donna che lui ama. Da qui partono tutta una serie di situazioni che piano piano mettono in scena il dramma finale.

Siamo negli anni precedenti alla guerra, quando il regime fascista preferiva intrattenere la popolazione con spettacoli di questo genere piuttosto che utilizzare strumenti di propaganda. L’Italia si poneva così come un paese in cui il cinema non portava avanti grandi messaggi ma si limitava a far divertire il pubblico pagante. E lo faceva attraverso film in costume come in questo caso o con drammi sentimentali, sempre girati all’interno di studi cinematografici. Sono ancora lontani gli anni del Neorealismo, ma nonostante ciò è inutile denigrare questo tipo di film, molto più leggeri e assolutamente lontani dalla realtà di tutti i giorni.

In questo caso abbiamo uno dei divi di quegli anni, il sardissimo Amedeo Nazzari, un uomo tutto d’un pezzo che figura come il vero protagonista della vicenda. Recitazione d’alta scuola, fisicaccio e grande feeling con la telecamera. Tutti gli altri si fanno dimenticare in fretta, più simili a caratteristi che ad attori con grandi potenzialità anche al di là del singolo film.

Come non ricordare poi la celeberrima frase “chi non beve con me peste lo colga”? Insomma se a prima vista il film sembra un pezzo di antiquariato, più simile ad un vecchio merletto muffito che ad un pezzo di storia del cinema, bisogna comunque insistere e non si rimarrà delusi, soprattutto se si è appassionati di cinema.

VOTO 7 

venerdì 6 luglio 2012

0 Kyle xy…che pacco di finale

Ma come si fa a interrompere in maniera così subdola un gran bel telefilm? Odio quando ai piani alti decidono in maniera alquanto arbitraria di tagliare via un ramo che non dava più i frutti sperati. Ma cavolo, non pensate a tutti quei milioni di fans che seguono con amore e passione le vicende dei loro beniamini? Evidentemente ai produttori di Kyle non gliene è importato un emerito BIP e STRABIIIIIP.

E dire che le premesse c’erano tutte. Ragazzo carino (per chi si svena per le facce tipo Scialpi) senza ombelico che si risveglia in un bosco ricoperto di placenta. Chi sarà, da dove verrà? Tutte domande che trovano una risposta abbastanza convincente (anche se parecchio semplificata) nelle prime due stagioni, dove iniziamo ad affezionarci alle stranezze di Kyle e alla fantastica e ultrademocratica famiglia Trager, composta da Nicole e Stephen (che a capodanno si danno ai festini a base di canna), dalla cinica Lori e da Josh, un pippaiolo che diventa improvvisamente il re della serie a partire dalla seconda stagione (ma ovviamente a mio parere personale…de gustibus).

Mi sono davvero appassionata a questo strano telefilm anche se a dire il vero ho sempre preferito la parte realistica della serie più che quella fantascientifica, anche perché alla fine non c’era granché da scoprire visto che già dalla prima stagione avevamo capito tutti che Kyle aveva vissuto 16 anni in una capsula per diventare un super uomo, o meglio un’arma invincibile da utilizzare in guerra. Il bello del telefilm stava nei personaggi e nella loro quotidianità ma evidentemente questo non è bastato e così come non avevo mai visto in vita mia, ho assistito all’ultima puntata più brutta della storia della televisione. Un finale non finale, con mille interrogativi e tutti i protagonisti immobilizzati in un fermo immagine eterno.

Pazienza, almeno non dovrò subirmi la terribile storia d’amore tra la lagnosissima e suorissima Amanda e l’antipatico e frigido Kyle.

W Jessy 

 

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