sabato 10 aprile 2010

0 Cagliari ti amo o ti odio?

CAGLIARI

Ho fatto in tempo a nascere, crescere e skazzarmi in una sola città, che poi sarebbe il capoluogo di una regione che nessuno di noi chiama regione ma semplicemente e orgogliosamente Terra. La mia Terra. Non quella con la stratosfera e la superficie terrestre, ma quella un po’ più piccola e disabitata, quella col mare tutto intorno e i turisti sempre in mezzo al cazzo, se mi si permette la finezza. Questa Terra Sarda che io conosco poco, forse perchè prima di essere Sarda sono Cagliaritana e il cagliaritano si sa è molto lontano dal concetto atavico di sardità, è come uno che qui c’è capitato per caso, gli è piaciuta la spiaggia del Poetto, ci ha costruito una ventina di chioschetti, ha aperto la Fiera e ha deciso che la mattina senza un caffè è proprio una cazzo di mattina. Il Cagliaritano ha i suoi riti: il caffè al bar (meglio se Rita Boi), l’occhiale da sole sino alle 8 di sera, il colletto della polo alzato, la macchina eternamente in doppia fila, l’Unione Sarda sotto l’ascella e se deve mangiare una pizza esiste solo lo Zodiaco. Il Cagliaritano è di destra e adora esserlo, non potrebbe mai condividere ideali quali l’uguaglianza sociale, la giustizia uguale per tutti e le tasse come dovere di ogni cittadino. Il commerciante cagliaritano non saluta quasi mai quando un potenziale cliente entra nel suo negozio, aspetta che sia lui a farlo e poi decide se rispondere o no. Il Cagliaritano se vogliamo non è neanche un gran tifoso, anzi penso che la tifoseria del Cagliari sia tra le più scalcinate e innocue del panorama italiano e poi ci chiediamo come mai viaggiamo sempre nella parte bassa della classifica. Il Cagliaritano non sopporta gli altri sardi perchè li vede diversi, prende le distanze dall’allevatore in berritta e camicia di flanella ma non disdegna il porchetto regalato dal parente biddaio (=paesano) che puzza di capra, si fa il formaggio in casa, ha le unghie nere, centinaia di ettari di terra ma i figli all’università. Il Cagliaritano si inkazza se qualche continentale osa parlare della Sardegna come una terra di pastori perchè lui (il Cagliaritano) è un piccolo milanese cresciuto un po’ più a sud della Pianura Padana e non un puzzolente pecoraio, lui non nega il fatto che una parte della Sardegna sia effettivamente così ma ne prende ampiamente le distanze, per mettere uno spartiacque bello grande tra ciò che profuma di mare e ciò che puzza di letame. Non è cattivo e non è che lo disegnano così, è semplicemente un personaggio che vede nella città l’unico posto vivibile, l’unico strumento di civiltà e di crescita sociale. La posizione sociale la conquista sin da quando è ragazzetto, perchè se è figlio di professionisti sarà automaticamente attorniato dai suoi pari e sposerà un/a pari livello con tanto di pranzo al Convento di San Giuseppe e viaggio di nozze in Polinesia, se invece è figlio di un dipendente pubblico o di gente comune vive una vita normale senza guardare il censo di chi ha davanti e con tutta probabilità si accaserà con una persona normale vivendo una vita normale senza figli che abbiano il doppio cognome e le mutande col blasone di famiglia.

Io sono nata e cresciuta in questa città che un po’ mi piace e un po’ mi sta sul cazzo. Sino ai 18 anni ho fatto la classica vita di quartiere casa e scuola, poi ho iniziato a scoprirla poco a poco sino a non poterne fare a meno, sino ad assegnare ad ogni luogo un ricordo e un’esperienza, a volte felice a volte triste. La sentivo mia sino a quando è ritornata ad essere una semplice città ics in mezzo all’atlante. Ci ho messo anni a ritornare alla condizione privilegiata di cittadina cagliaritana, fiera del vessillo e dei 4 mori. Continuo a non comprenderla del tutto, a non capirne le contraddizioni, a detestare cordialmente tutti coloro che la usano come proprietà privata senza esserne padroni, ma solo con quel loro atteggiamento da qui comando io, tu sei nuovo perciò stai alle regole o fuori dal cazzo. A Cagliari ci sono i locali in e i locali out e i locali a cui non frega niente a nessuno: bene io vado in questi ultimi perchè francamente non amo nè le passerelle nè le canottiere aderenti su petti villosi. Amo le mie scarpe da tennis e fanculo ai paletti. Comunque tanto per dirne una che spieghi in modo definitivo cosa intendo io per cagliaritano racconto un aneddoto che mi ha insegnato molto nella vita: era estate, erano le 19, avevo sete, ero davanti ad un noto (tranne che a me) locale gay che si trova vicino a casa mia, faccio per entrare ma ho ricevuto prima un’occhiata malmostosa e poi un secco rifiuto perchè non era orario visto che mancava circa 1 minuto virgola 2 all’apertura. Non stiamo parlando nè dell’antico caffè nè del T hotel, ma di una piola chiamata Rainbow dove la cosa più elegante che ho visto era un ombrellino per i cocktail. Come si può notare la cortesia e l’amore per il cliente non ha confini dati dall’identità sessuale, etero o omo sempre stronzi siamo, e con questo vi saluto.

  

   

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