giovedì 9 settembre 2010

0 Recensione Zodiac (2007)

Difficile collocare questo film in un genere preciso. Non è solo un thriller, ma anche un poliziesco vecchia maniera, ha in sé degli spunti di riflessione che lo spingono insomma al di là della banalissima pellicola con al centro un serial killer.

Innanzitutto ci offre uno spaccato fedele (per quanto ne possa sapere io che sono nata solo nel 1977) dell’America in quello spartiacque che si situa tra la fine dei 60 e gli inizi dei 70. Macchinoni squadrati, poliziotti con la sigaretta sempre all’angolo della bocca, cronisti d’assalto piegati su macchine da scrivere, archivi cartacei e quant’altro.

Il film narra dei fatti realmente accaduti. San Francisco. Un uomo che si fa chiamare Zodiac uccide brutalmente una coppia che si era appartata in un luogo poco frequentato, dopo di che si autodenuncia attraverso delle lettere in codice che egli spedisce ai giornali più importanti della città. Naturalmente celandosi dietro il suo strano soprannome. Gli omicidi continuano fino a interrompersi bruscamente. Nel frattempo tre uomini indagano in modo più o meno ufficiale sulla misteriosa identità dell’assassino: il poliziotto Toschi (Mark Ruffalo), il cronista Avery (Robert Downey Jr.) e il vignettista Graysmith (Jake Gyllenhaal). Per tutti loro diventa un’ossessione ma soprattutto per quest’ultimo, sempre più lontano dalla sua vita reale e sempre più impantanato in indagini sotterranee nonostante tutti abbiano ormai abbandonato il caso. In effetti ciò che spinge Graysmith non è il senso della giustizia quanto un’insana curiosità che ha come scopo finale quello di guardare negli occhi Zodiac. Piano piano egli riesce ad arrivare alla vera identità dell’assassino pur non potendolo dimostrare con quelle che ai tempi erano considerate prove schiaccianti ossia le impronte digitali e la perizia calligrafica.

Cos’ha voluto dimostrare o mostrare il regista David Fincher con questa lunghissima pellicola (158 minuti)? Penso che non avesse in mente la classica tipologia di thriller, quella con tanti bei giochini mentali, i cadaveri in bella mostra e l’analisi dettagliata della psicologia del serial killer. Qui nessuno si preoccupa di capire perché quest’uomo arrivi a uccidere. In quei tempi i profiler non esistevano neanche, tutto si basava sulla ricerca di prove indiziarie e se queste non venivano trovate si abbandonava il caso nonostante fosse palese il nome e l’identità dell’assassino (un po’ come da noi, vedi il caso Garlasco).

Questa è la ricostruzione di un caso realmente accaduto. Una ricostruzione che non cerca di angosciare o spaventare lo spettatore, ma solo di mostrargli come si svolgevano le indagini 40 anni fa. Tutto ciò potrebbe non piacere a chi cerca il ritmo e il colpo di scena. Io posso solo dire che ho trovato la recitazione di alto livello, mi ha sorpreso soprattutto Gyllenhaal che solitamente ha la vitalità di un’aringa sotto sale. Robert Downey Jr è sempre lui, con il suo atteggiamento da re del cazzeggio, qui tra l’altro mostra anche uno spaccato della sua vita reale, in quanto pure lui come il suo personaggio per lungo tempo si è lasciato andare lungo il burrascoso sentiero dell’alcol e delle striscioline bianche. Ottimo attore ma in questo film ha tutto sommato una parte minore.

Un buon film, con un finale che dice tante cose: 30 anni per arrivare ad una conclusione che si sarebbe potuta anticipare di qualche decennio. Il mondo è andato avanti così come i metodi di indagine.

Voto: 8

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