lunedì 3 ottobre 2011

0 Cuore (1981)

Quanti ricordi lontani mi accompagnano nel riguardare a distanza di quasi trent’anni questo anime che ha accompagnato i miei lunghi pomeriggi di scolara delle elementari, con un panino con burro e zucchero stretto nella mano e un rapimento completo nello sguardo.

La storia racconta due anni di scuola a Torino. Siamo nella seconda metà dell’800 italiano, ad una ventina d’anni dall’Unità d’Italia quando il nostro Paese vive nell’entusiasmo di una nuova configurazione storica e allo stesso tempo si caratterizza come un giovane Stato dai mille volti, rappresentati dai ragazzi che frequentano la scuola elementare Baretti. Qui troviamo il narratore della storia (liberamente ispirata ovviamente all’omonimo romanzo di De Amicis), Enrico Bottini figlio della media borghesia con un padre giornalista e una madre casalinga, De Rossi il primo della classe figlio di un medico, Garrone grande e grosso ma dall’animo buono e generoso sempre pronto ad aiutare i più deboli, e poi Rabucco il muratorino che riveste il ruolo del giullare della compagnia, Garoffi che ha un gran fiuto per gli affari, il povero Crossi e il perfido Franti. Una classe di ragazzi diversi per provenienza sociale ma molto solidali gli uni con gli altri, capaci di stupirsi per la dignità dei loro poveri compagni e incapaci di invidiare la ricchezza dei più fortunati, insomma un mondo apparentemente impossibile (almeno ai nostri giorni).

Certo già il romanzo di De Amicis aveva questa forte vena di buonismo di altri tempi, volto probabilmente a promuovere un’Unità politica che in realtà come la storia ci insegna era stata voluta soprattutto dalla classe politica e intellettuale più che dal popolo, in realtà ignaro di cosa ciò potesse significare. E’ evidente poi che la scelta di incentrare la storia su una scolaresca ha permesso allo scrittore di magnificare ancora di più questo spirito di nazionalismo che traspare in modo palese dalle pagine del suo libro (e di riflesso nell’anime) grazie soprattutto all’inserimento (molto strumentale) di racconti edificanti su ragazzini che in modo tragico e drammatico hanno tenuto alto il vessillo dell’Italia (anche a costo della vita), ed ecco allora la vedetta lombarda, la storia di Marco che cerca la mamma in sud America e il piccolo scrivano fiorentino.

Il cartone animato è abbastanza fedele al romanzo, anche se giustamente in 26 episodi non riesce a dare una visione integrale della storia, scegliendo qua e là cosa trasporre e cosa tralasciare. La ricostruzione di Torino è magnifica ed è forse ciò che mi ha colpito maggiormente in quanto ogni singolo elemento racconta un’epoca lontana, un Ottocento fatto di lampioni lungo le vie, di carrozze, appartamenti dagli alti soffitti e classi esclusivamente maschili. Il doppiaggio è azzeccato tranne in rari casi come per esempio le insopportabili voci di Nobis e di Nino Bottini. Per il resto i disegni sono magnifici così come la struggente colonna sonora. Impossibile poi non citare la bellissima sigla firmata dai Cavalieri del Re, maestri nel raccontare un cartone animato in musica e parole.

Un tuffo negli anni 80 che suscita a chi ha amato questo cartone più di una lacrima di commozione…   

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