lunedì 30 aprile 2012

0 Gli anni in tasca (1975)

Truffaut crea un mondo a misura di bambini e preadolescenti probabilmente attingendo dai suoi ricordi di infanzia e il risultato è un film che intenerisce e suscita nostalgia.

Non c’è un unico protagonista, ma tanti, sia piccoli che adulti, tutti comunque con qualcosa che li lega. Abbastanza facile in un paesino che conta poche anime e dove la domenica ci si ritrova tutti al cinema ad assistere a film e cinegiornali. Ecco, possiamo dire che il regista con grande capacità e semplicità ricrea le atmosfere e le vicende tipiche della vita di provincia riuscendo a tratteggiare un mondo variegato dove gli adulti sembrano tutti distratti e poco attenti ai propri figli mentre i bambini si presentano pieni di inventiva, curiosità e sentimenti.

Ho trovato molto angosciante la sequenza in cui il piccolo Gregorie cade dalla finestra del nono piano. L’ansia mi ha chiuso la gola e giuro non riuscivo a credere a quello che stavo vedendo. Abbastanza assurdo che ne sia uscito illeso ma vabbè del resto meglio così per tutti noi. In ogni caso la scelta non è stata casuale ma ha voluto mettere in evidenza come spesso i genitori siano talmente presi dalle loro ansie di adulti da non rendersi conto di mettere a repentaglio la vita dei propri figli. Del resto anche la sequenza in cui i due genitori lasciano la bimba a casa per andare in ristorante è proprio emblematica di un’epoca. Ora se qualcuno lascia il figlio in macchina anche solo per un minuto rischia di non vederlo più o di vederlo dietro le sbarre di una prigione. Forse si era più rilassati o forse più incoscienti, fatto sta che la gran parte di noi degli anni 70 è ancora in vita perciò tanto male non c’è andata.

Molto spazio è poi dedicato alle prime pulsioni sessuali e ai primi approcci sentimentali tra maschi e femmine, vedi per esempio le pomiciate al cinema o l’ultima scena in cui il ragazzino timido riesce finalmente a dare il suo primo bacio ad una coetanea, mettendo da parte per sempre il surreale (ma abbastanza frequente) amore per la bella madre del suo compagno di classe. I film francesi hanno il merito, ora come allora, di descrivere l’amore fisico e platonico in un modo schietto, trasparente e per niente fastidioso o volgare, elemento non da poco in una pellicola che si rivolge in particolar modo ad un pubblico giovane ma che strizza l’occhio anche ai loro genitori.

Non manca neppure l’elemento sociologico, rappresentato dal ragazzino disadattato che va a scuola sempre con gli stessi abiti laceri e con la cartella distrutta mentre i suoi compagni non fanno che parlare di paghette mensili, gelati, giocattoli e quant’altro. Nel film ti viene da detestarlo, un po’ come succedeva alle medie quando ti trovavi in classe il bullo con problemi familiari e infatti i suoi compagni non lo coinvolgono, lo temono, lo vedono troppo adulto e perciò estraneo al loro mondo edulcorato e viziato. Niente di strano sotto il sole, il diverso viene sempre emarginato in particolar modo in quell’età così difficile come la pubertà che finisce per segnare irrimediabilmente la vita adulta. Tutto questo non è denunciato ma solo mostrato e infine teorizzato con la bellissima chiusa finale del maestro che spiega ad un pubblico che non ha ancora gli strumenti per capirlo, come sia difficile il mondo dei bambini, soprattutto di quelli disadattati e senza l’amore dei propri genitori (“i figli bisogna amarli o finiranno per rivolgere il proprio affetto a qualcuno esterno alla famiglia escludendo per sempre i propri genitori”).

Tirando le somme, ci troviamo davanti ad un bel film che merita di essere visto anche con il suo aspetto decisamente retrò. Perfetto per un pubblico over 30, ridicolo per tutti gli altri.

VOTO 7,5  

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