mercoledì 1 febbraio 2012

0 L’uomo in più (2001)

1980. Napoli. Paolo Sorrentino racconta la storia di due uomini omonimi (si chiamano entrambi Antonio Pisapia) all’apice del successo che per sfortunati (o voluti) casi della vita finiscono per perdere quella fama effimera costruita nel corso degli anni. C’è Antonio Pisapia il calciatore, entrato nell’immaginario collettivo come colui che realizzò un gol in mezza rovesciata portando la sua squadra ad un passo dalla zona Uefa, lo stopper capace di segnare e onorare la maglia. Antonio rifiuta di truccare una partita e i compagni di squadra per tutta risposta gli rompono i legamenti facendo calare il sipario sulla sua carriera da calciatore. Ma l’uomo non si abbatte e prende il patentino di allenatore a Coverciano, rassicurato dal presidente della sua squadra sul fatto che avrebbe fatto parte dello staff tecnico. Antonio escogita moduli calcistici all’avanguardia, abbandonando il catenaccio e il gioco di rimessa, per disegnare una squadra temeraria con la difesa alta e quattro punte. Tutta la sua vita è questo: mettere in pratica il suo modulo di gioco ma la telefonata per allenare la sua vecchia squadra non arriva mai e così all’ennesima porta in faccia conclude la sua vita con un colpo di pistola su un campetto da calcio.

Poi c’è Tony Pisapia (Tony Servillo) il cantante. Il tombeur de femme che canta canzoni neomelodiche davanti a platee gremite di fans, rappresentate soprattutto da donne che vanno a trovarlo in camerino a spettacolo concluso. Una di queste è una minorenne, ma Tony (esaltato dal successo e dalla cocaina, uno sbandato senza speranza) non lo sa o non se ne cura e così dopo una sveltina sul letto della figlia (che studia all’estero e odia il padre) viene denunciato per abusi sessuali e così inizia la sua parabola discendente. Il suo manager ormai lo tratta come una pezza da piedi e le uniche serate che gli propone sono le sagre di paese, a cui Tony comunque partecipa constatando miseramente che il suo pubblico è rappresentato da una decina di persone, per altro poco interessate. Capisce così che gli è rimasta solo la cocaina e la passione per la cucina di mare, che ha imparato nella sua prima esperienza in carcere dieci anni prima. Vorrebbe aprire un ristorante ma anche questa speranza sfuma così come la Ferrari Testarossa che è costretto a vendere per vivere.

Il regista ha creato un vero e proprio capolavoro, un film amaro ma anche piuttosto realistico perché come non immaginarsi che la stessa sorte dei due Antonio non sia stata vissuta da altri calciatori o uomini di spettacolo del passato? Il film parla di come il successo non serva a niente, di come sia una parentesi nella vita che rende solo più amara quest’ultima, vissuta nel ricordo e nel rimpianto di qualcosa che non c’è più. Antonio il calciatore è una figura onesta, fin troppo, ossessionato comunque da un sogno che rincorre fino a sfiancarsi, fino a capire che la vita senza il calcio non è niente. Fondamentalmente non gli importa della moglie che lo tradisce e poi lo lascia, ma solo che qualche società si accorga di lui e lo faccia allenare. Gli viene rinfacciato di essere un uomo triste e perciò incompatibile con un gioco divertente come il calcio. Tony invece è uno che non si arrende ma che allo stesso tempo non sa bene quello che vuole, indeciso se aprire un ristorante o tentare di avere ancora successo come cantante nonostante sia ormai chiaro a tutti (e anche a se stesso) che quella parte della sua vita si è ormai conclusa per sempre. La sua famiglia lo odia, mentre lui nel suo modo un po’ vigliacco e indifferente li ama tutti, in particolare sua madre. Alla fine compie un gesto estremo, uccide per vendicare qualcuno che nemmeno conosce ma in cui si rivede: un uomo a cui hanno spazzato via i sogni. Lui ama la libertà sopra ogni cosa ma negli ultimi minuti di film lo vediamo seduto ad un tavolo angusto a mangiare pesce cucinato da lui con altri compagni di cella. Finalmente appare contento, sinceramente e totalmente.

Che bel film, un film sincero, maturo e allo stesso tempo scorrevole, con un Tony Servillo fuori dall’ordinario, un gigante di bravura, un attore che sta facendo grande il nostro cinema italiano. L’atmosfera anni 80 c’è tutta, tra vestiti femminili sconcertanti e giovani uomini con i baffi. L’effimero di quegli anni si rispecchia in particolar modo nelle feste esclusive, nelle discoteche come luogo di incontro e nelle strisce di cocaina che abbondano in tutto il film. Per me uno dei migliori film italiani degli ultimi trent’anni.

VOTO 8,5      

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