giovedì 13 settembre 2012

0 Recensione Una voce nella notte (2006)

Trama: Gabriel (Robin Williams) è uno scrittore che fa anche lo speaker radiofonico nella città di New York. Grazie alla sua notorietà diventa l’idolo di Pete, un quattordicenne del Wisconsin, malato di aids, che ha scritto un romanzo che racconta la sua triste storia di sevizie infantili e che vive con la sua psicologa Donna. Pete riesce a far pervenire la sua bozza a Gabriel che ne viene subito conquistato, finendo per intrattenere un’amicizia telefonica col ragazzo a cui si sente sempre più affezionato. I suoi amici però iniziano a sospettare che in realtà Donna e Pete siano la stessa persona, così Gabriel vinto dal dubbio decide di partire per il Wisconsin per arrivare alla verità….

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Il film è un vero e proprio thriller che è riuscito per 3/4 della sua durata a catturare la mia attenzione con colpi di scena forse un po’ scontati ma soprattutto con un’atmosfera davvero raggelante e rarefatta. Certo gran parte del merito va a Robin Williams che raramente si è cimentato in pellicole a tinte gialle, più a suo agio con la commedia e il drammatico, poli opposti che però hanno visto scaturire dalla sua immensa bravura il meglio che possa offrire il talento istrionico di questa grande maschera. Qui la sua parte è quella di un omosessuale di mezza età che vive più nel ricordo che nel presente, diviso tra l’amore per il suo compagno e il desiderio di scavare nella sua stessa vita per trarre fuori storie sempre più coinvolgenti che possano dare emozioni al suo pubblico di radio ascoltatori. Quando Donna e Pete bussano alla sua porta lo trovano sconfitto perché appena scottato dalla fine della sua storia d’amore e perciò più vulnerabile. Per lui diventa quasi automatico legarsi ad un ragazzino che lo idolatra, sieropositivo (come il suo ex compagno che però ormai è fuori pericolo) e solo, proprio come lui. Lo vede come un figlio ma anche come una nuova occasione per raccontare nuove storie, cosa che puntualmente fa all’inizio e alla fine del film in una cornice che rappresenta forse il punto più basso della pellicola, perché sembra quasi una leziosità letteraria tutto sommato inutile. Entreremmo e usciremmo comunque benissimo nella e dalla storia senza bisogno di qualcuno che ci spieghi l’antefatto. A quello basta l’enigmatico “tratto da una storia vera” che compare prima della sequenza iniziale. Che dire quindi? Beh il finale è abbastanza banale, anche se a dire il vero il film è colpito da questo male già dopo 30 minuti dove tutti immaginiamo quale sia la verità ma si va avanti agevolmente proprio perché il regista è stato molto bravo a giocare sul silenzio, sui tentativi infruttuosi di Gabriel e in generale sul senso di ansia crescente che avvolge il protagonista e di riflesso lo stesso spettatore. E’ un gioco psicologico a cui non viene data spiegazione proprio come avviene poi nella vita reale dove non tutto può essere spiegato con ragioni di causa/effetto.

VOTO 6,5  

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