giovedì 23 agosto 2012

0 Royal Caribbean 11-18 agosto 2012 Fiordi

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Puntuale come un orologio svizzero ecco arrivare la cronistoria della mia crociera. Meta scelta: fiordi norvegesi. Compagnia di crociera: la statunitense Royal Caribbean. Ebbene sì dopo due estati trascorse a bordo di Costa Crociere, ho deciso di provare qualcosa di nuovo soprattutto perché parecchio delusa dall’organizzazione della compagnia di crociera più inflazionata d’Italia. Tengo a precisare che la scelta di mollare Costa non dipende assolutamente dalla tragedia del 13 gennaio di quest’anno in quanto avevo già il dente avvelenato da parecchio tempo prima visto il trattamento subito su Costa Fortuna.

Il porto di partenza è stato Copenaghen e devo dire che questo mi ha permesso di ammirare una città meravigliosa e da scoprire meglio magari durante una prossima vacanza visto che mi ha totalmente affascinato. Cosa dire poi dell’emozione provata ad entrare nel negozio Lego? Una gioia per gli occhi di una che ha passato l’infanzia a costruire meraviglie fatte di mattoncini colorati. Ma passiamo alle cose importanti: il porto era decisamente lontano dal mio albergo perciò è stato necessario affidarsi ad un tassista che è riuscito a intascarsi 190 corone per poi portarci sì al porto ma nel molo riservato a Costa Crociere e così abbiamo dovuto trascinare le valigie fino a quando un autista di un pullman Royal ci ha gentilmente soccorso accogliendoci a bordo e portandoci finalmente nel posto giusto.

Inutile dire che l’imbarco è stato più veloce della luce a differenza delle inutili lungaggini di Costa: abbiamo compilato una semplice scheda e poi una delle ragazze addette al controllo dei documenti e alla registrazione dei nostri dati ci ha fornito le nostre schede personali che servono per aprire la cabina, pagare, scendere e salire dalla nave. Dopo questo step, abbiamo detto cheese davanti al fotografo e così le nostre facce sono state associate alle tessere. La Brilliance si presenta subito come una bellissima nave fornita di due piscine, una coperta (molto d’atmosfera) e una scoperta, una parete d’arrampicata, palestra, vari bar e soprattutto un ristorante a buffet (Windjammer) e uno per il pranzo e la cena a la carte (Minstral), entrambi gratuiti compreso il Seaview Cafè dove poter gustare un sandwich, una pasta o una pizza a orari prestabiliti (16-18 e 21-1.00)

Cibo: La prima impressione del ristorante a buffet è stata straordinaria tanto è vero che alla fine è stato il posto in cui ho mangiato più volentieri sia per l’enorme varietà delle pietanze sia per l’eccellenza dei sapori. Ogni giorno si trovava qualcosa di nuovo da assaggiare tanto è vero che non ho quasi mai mangiato la stessa cosa, a parte il purè col sugo di carne che mi ha fatto letteralmente perdere la testa. All’interno della sala si trova sempre posto se si ha un minimo di pazienza o se si va a orari non europei ossia alle 12 o alle 18.30 che come tutti sappiamo sono gli orari preferiti dagli americani (in gran numero sulla nave) per pranzare e cenare. In ogni caso a cena in un angoletto apposito troverete un tipo di cucina diversa ogni giorno, per esempio thai, francese, americana, messicana e così via oltre alle canoniche sezioni in cui trovare e provare il sushi (qualità bassa devo ammetterlo, troppo acetato), vari tipi di carne e pesce cucinati in modi sempre diversi, pasta al forno (all’americana ovviamente e non è un complimento), due tipi di minestra, insalate già pronte o da preparare seguendo la propria fantasia con ingredienti squisiti e freschissimi, salumi e formaggi (squisito il parmigiano a cubetti nella forma scavata), panini farciti e dolci dalla qualità altalenante (ricordo un’ottima cheesecake e una sublime apple pie). Insomma c’è di che soddisfare i palati più esigenti, compreso il mio.

Passando al ristorante alla carta di cui ho usufruito solo a cena e unicamente per le prime 4 sere, devo dire che il mio giudizio non è del tutto positivo. Per carità ciò che ho scelto era squisito ma il menu era composto al 90% da pietanze con aglio, funghi, peperoni oppure salsa di avocado, tutti ingredienti e portate che per intenderci troveremmo in qualche stralunata ricetta di Top Chef o Hell’s Kitchen. Ho in effetti pensato di trovarmi al cospetto di Gordon Ramsey e l’esperienza non mi ha convinto. In ogni caso cercando cercando qualcosa di vagamente normale l’ho trovata per esempio il coq au vin e un’anatra da leccarsi i baffi. Da dimenticare invece gli antipasti (vedi il cocktail di gamberi col ketchup) e i dolci che in definitiva sono gli stessi del buffet ma nella versione più scadente. Da un punto di vista gastronomico quindi non ci siamo del tutto ma è chiaro che si tratta di un parere ultra soggettivo e quindi giustamente sindacabile, mentre se parliamo dell’organizzazione dei tavoli entriamo in un discorso di pura obbiettività: non ci siamo proprio. Cerco di spiegarmi brevemente. Prima di partire avevamo chiesto espressamente un tavolo da due, primo perché il mio carattere mal si adegua alla socializzazione con perfetti sconosciuti in particolar modo quando sono seduta a tavola per ingerire cibo, secondo perché non sai mai chi ti capiterà intorno al desco. Ebbene sorpresa della prima sera (e ahimè pure delle seguenti in un crescendo in stile Profondo rosso) ecco che il cameriere dopo inutili e laboriosi giri nella sala alla ricerca del fantomatico tavolo 448 ci porta davanti ad un tavolo da sei. Lascio immaginare la mia espressione. Cercate di focalizzare l’espressione incazzata di un toro a cui hanno appena schiacciato le palle e moltiplicatelo per 1000. Ok, ho respirato e poi ho pensato tanto da domani si cambia musica perciò facciamo buon viso a cattivo gioco. Ci sediamo e dopo una buona mezzora in cui la speranza di stare per i cavoli miei si riaccendeva ecco che si profilano all’orizzonte due figure in lento ma inesorabile avvicinamento. La coppia per metà giovane sposata da pochi mesi e appena tornata da un faticoso non che costosissimo viaggio in Africa per ammirare la fauna del luogo in assenza di gabbia. Lui sborone di prima categoria con l’aneddoto sempre in tasca e la presunzione di conoscere tutto e tutti. Soldi più che esibiti direi espressi a parole ma non per questo meno fastidiosi. In ogni caso non era ancora il peggio, per arrivare all’apoteosi bisognava arrivare alla terza sera quando al momento di entrare in sala scorgiamo altre due figure che occupavano per giunta i nostri posti. Chi erano? I Padani di Cantù: lei quarantenne con la faccia da insegnante elementare e lui da manovale. Simpatia sotto zero. Ironia sui sardi che si può rintracciare solo in quei film anni 80 che dipingono il sardo come pastore e le donne sarde coi baffi. La mia pazienza era già andata a quel paese ma per rispetto verso chi mi accompagnava ho tenuto duro anche la sera successiva fino alla fatidica frase razzista che era nell’aria da due sere. La signora comasca con quel fare da donna padana, ci esprime un interrogativo che neanche Bossi nei periodi di maggior celodurismo poteva elaborare con tanta fermezza e disprezzo. Al racconto della nostra esperienza con Costa nel mediterraneo con tappa anche in Turchia se ne esce con la seguente domanda: “Ma c’è puzza di marocchino in Turchia?”. Silenzio di tomba, boccone di cibo a metà strada tra il piatto e la nostra bocca o peggio ancora tra la bocca e l’esofago. Cosaaaa??? Ma non finisce qui perché c’è stata anche la ricca argomentazione riguardante sempre la suddetta puzza di cui sarebbe invasa la Tunisia e il pavimento della Tunisia, a loro dire scivoloso di sporcizia tunisina, marocchina, africana. Potevo davvero trascorrere un’altra amena serata in codesta compagnia? No e infatti proprio grazie a questa importante decisione vi posso parlare anche del terzo ristorante “a gratis”: il Seaview Cafè che abbiamo frequentato assiduamente per le successive tre sere visto che le nostre richieste al caposala di avere il nostro tavolo da due sono state declinate senza possibilità di appello nonostante la costante presenza di un tavolo da due sempre vuoto. Questo per me rappresenta un grosso neo nell’organizzazione insieme alla poca conoscenza dell’italiano da parte del personale di sala ma soprassediamo. Il Seaview è un vero e proprio ritrovo per lupi di mare sia per l’aspetto vagamente simile ad uno di quei locali che si possono trovare in qualche paese dimenticato da Dio affacciato sulla costa atlantica sia per il fortunale che accoglie gli avventori all’uscita nel ponte esterno che permette di accedere al locale. Ok che siamo in Norvegia ma un freddo così intenso per venti metri di strada mi pare eccessivo. Purtroppo non esiste altro modo per raggiungere il bar perciò armatevi di sciarpe e giacconi e vi prometto che ne uscirete contenti. Io almeno ero felicissima visto che capitando alle 21 sapevo che sarebbe stato poco frequentato visto che i turni di cena sono alle 18.30 e alle 20.30. Eravamo sempre pochi e si stava da Dio con un sandwich nella destra e una fresca Corona nella sinistra. Per me il massimo. La pizza non è buona e la pasta non l’ho mai provata.

Ultimo discorso per la colazione. Niente da dire, tutto perfetto abbondante e soddisfacente. Bella anche l’idea di obbligare la gente a lavarsi le mani col detergente prima di entrare nei luoghi di ristoro.

Bevande: anche in questo caso la pubblicità non è stata ingannevole. Bevande fresche sempre a disposizione: l’acqua ottima e deliziosa non come quella schifezza al sapore di piccolo chimico di Costa Crociere, the freddo che non sapeva di molto, limonata buona. Il the caldo era sempre e solo Lipton, non il massimo ma ci si può accontentare.

Animazione: non pervenuta perciò fantastica. Nessuno ti rompe per partecipare ad attività ludiche e tu puoi credere per più di un momento di essere in un comune albergo di lusso senza quella sensazione fastidiosa da villaggio vacanze che fa rimbombare le pareti a ritmo di salsa e merengue.

Spettacoli: i primi tre li ho saltati per mancanza di entusiasmo, gli altri quattro li ho visti e ne sono rimasta piacevolmente colpita, soprattutto la serata degli Abbamax è stata favolosa, straordinari e perfetti nelle cover del celebre gruppo scandinavo. La direttrice di crociera Anna era simpatica ma parlava solo in inglese così per noi italiani c’era un certo Andrea, un siciliano che conosceva meglio lo spagnolo dell’italiano e così tutto sommato ho capito di più dal mio poco inglese che dalle sue strampalate traduzioni.

Tappe: Oslo, Stavanger, Bergen, Geiranger e Alesund. I luoghi sono di una bellezza che toglie il fiato. Tornando indietro eviterei di acquistare l’escursione ad Alesund che può essere girata tranquillamente senza guida. In effetti questa è stata la tappa più deludente sia per la guida (un italiano ancora mezzo fatto dalla sera prima che non riusciva ad articolare le parole figuriamoci le frasi) che per i posti (acquario orrendo e viste panoramiche da immaginare vista la nebbia). Oslo bella con tutto il suo verde e le casette con l’erba sui tetti, il museo delle navi vichinghe (poche ma davvero affascinanti per chi ha un debole per i vichinghi come me) e un parco meraviglioso con delle sculture che raccontano la storia dell’uomo grazie alla maestria del loro creatore Vigeland, un artista norvegese dallo stile inconfondibile. Stavanger molto carina con le sue casette di legno e il villaggio vichingo dove una ragazza vestita con abiti di foggia medievale ci ha spiegato nella sua lingua gutturale tutta la vita che si svolgeva in quei luoghi a partire dal IV secolo. Bergen è assolutamente da visitare senza guida sia perché un autobus (gratis) porta in centro sia perché allo sbarco vi forniscono di una cartina molto dettagliata che permette di girare la città senza paura di perdersi. Personalmente ho preso il battellino che porta all’acquario e ne sono rimasta totalmente conquistata: mai visto un acquario più ricco e organizzato bene. Non ho resistito neanche a infilare la mano nella vasca di pesci con la bocca a ventosa che ti baciano la mano e si fanno accarezzare. Mi è dispiaciuto che la nave ripartisse così presto perché Bergen è senza ombra di dubbio la città che merita di più tra quelle proposte, sarà per il suo aspetto così europeo o per il fascino che emana dalle sue belle vie ma è davvero bellissima. Geiranger invece va fatta con la guida perché è solo un paese di poche anime, il suo fascino sta nelle vedute panoramiche e per poterle ammirare vi è l’assoluta necessità di un pullman che ci porti in alto tra i ghiacciai (assolutamente da dimenticare la visita al piccolo museo del luogo, decisamente inutile così come il filmato che fa vedere il passare delle stagioni).

Per quel che riguarda i prezzi delle escursioni, diciamo che siamo nella media di una nave da crociera: alti. Tra l’altro non c’è molta scelta per chi conosce solo l’italiano, infatti le più interessanti sono tutte in lingua inglese ma tutto sommato siamo sempre cento gradini sopra le escursioni farlocche di Costa.

Cabina: noi abbiamo scelto la cabina col balcone ed è stato come risorgere a nuova vita dopo le due claustrofobiche esperienze in cabine interne. Le dimensioni sono enormi e c’è posto sufficiente per due valigie. Il cameriere è stato bravissimo e ha sempre rispettato il nostro casino razionale nel senso che ha pulito il bagno, rifatto il letto e non si è mai permesso di toccare le nostre cose a differenza delle cameriere Costa. E’ stato poi unico ammirare i tramonti delle 22.30 di notte e le albe delle 4 del mattino. Un’esperienza impossibile da raccontare, bisogna viverla.

Conclusioni: Royal Caribbean è davvero il massimo tra le compagnie di crociera, sia per i prezzi (senz’altro i più bassi) che per la qualità. L’organizzazione è come un orologio svizzero e c’è sempre qualcuno alle informazioni che cercherà di aiutarvi come meglio può anche se ciò che stupisce è che sono più disponibili i dipendenti che non hanno la bandierina italiana nella targhetta delle lingue conosciute di quelli che in teoria dovrebbero essere le tue ancore di salvezza. Nota di merito per una ragazza brasiliana che ci ha sempre aiutato nonostante dicesse di non essere molto brava a parlare in italiano, invece è stata bravissima simpatica e professionale. Consiglio a tutti di sforzarsi di imparare almeno qualche frase in inglese perché è veramente l’1% del personale che conosce la nostra lingua e tutti ma proprio tutti vi si rivolgono in inglese con la conseguenza che spesso si rimaneva come stoccafissi a cercare di capire cosa ci stavano chiedendo.              

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