venerdì 13 febbraio 2015

3 Mr Mercedes - Stephen King

Stephen King è il mio scrittore preferito da quando avevo 14 anni ed è proprio per questo motivo che da Lui (uso il maiuscolo per rispetto ma soprattutto idolatria) mi aspetto sempre il massimo. 
Veniamo al dunque: Mr Mercedes è molto lontano dagli altissimi standard al quale Stevy mi ha abituato in questi 24 anni di lettura appassionata. Questo romanzo si inserisce in quel genere poliziesco chiamato hard boiled, un filone giallo di cui non so niente e di cui potevo fare a meno visti i risultati. Intendiamoci subito, Mr Mercedes è un romanzo scritto bene, scorrevole, strutturato con logica e raziocinio, ma a mio gusto personale risulta anche piuttosto freddo, elementare in molte sue parti e con personaggi piuttosto piatti oltre che troppo stereotipati. Abbiamo il piedipiatti in pensione che medita il suicidio davanti ad un piatto di maccheroni surgelati, il giovane ragazzo di colore educatissimo e studioso, la donna squinternata che in realtà è un genio del computer e la bella bionda con cui il protagonista finisce a letto. Per molti lettori questi non sono propriamente personaggi stereotipati ma lo sono per chi come me conosce a menadito l'intera bibliografia di King: l'uomo che fa i conti col suo passato c'e sempre (e riesce spesso a riscattarsi attraverso un'impresa all'inizio impossibile da realizzarsi), il giovane brillante pure, il personaggio strampalato che in realtà è un genio anche. Cioè è tutto già letto, già visto, già apprezzato. 
Passiamo alla storia: un killer schizzoide eccitato dall'idea di ammazzare gente continua a stuzzicare il poliziotto che non è riuscito a metterlo dentro dopo la prima strage. Indagini. Indagini. Indagini. Soluzione finale. Zero colpi di scena. Insomma un libro come un altro che non aggiunge niente nella letteratura attuale. King in passato ha sempre cercato di cimentarsi in generi diversi dai suoi e i risultati sono stati a volte grandiosi a volte mediocri. E' giusto che uno scrittore sperimenti ma penso che dietro ci debba sempre essere una forte idea iniziale che possa poi concretizzarsi in qualcosa di almeno vicino all'accettabile. 
A me sto romanzo mi ha annoiato, non mi ha appassionato per niente e lo dico con molta amarezza visti gli ottimi risultati raggiunti con gli ultimi suoi lavori, come per esempio Joyland, romanzo semplice ma di rara piacevolezza.
VOTO 6

mercoledì 11 febbraio 2015

0 Sanremo 2015. Opinioni sparse

Innanzitutto grazie a Cristiano Malgioglio per aver ricordato il titolo della canzone da cui hanno attinto a piene mani gli autori della canzone di Chiara Galiazzo: Forse sì forse no di Pupo. Parlare di plagio è dire poco. Io mi vergognerei ma va beh saranno problemi della gallina padovana (ieri di giallo canarino vestita).
Torniamo al Festival. Non so se mi è piaciuto, diciamo che tante cose mi hanno lasciato di stucco come era capitato ai tempi della conduzione da incubo dei "figli di". Parlerei di errori di inesperienza più che di un brutto Festival. Partirei dalla scelta sbagliatissima del dietro le quinte iniziale: dieci minuti con un taglio più moderno sarebbero stati più che sufficienti per lo spettatore medio anche perchè ci aveva già pensato Sorrisi e Canzoni a renderci edotti sul significato delle canzoni in gara. Insomma uno smarronamento di quaranta minuti di rvm è stato già un bel colpo alle parti basse ma passiamo oltre. 
L'inizio vero e proprio ci ha mostrato l'ennesima scenografia scurissima che ormai va per la maggiore ( mi sa che sono l'unica a rimpiangere i fiori e i colori pastello dei tempi di Baudo). Invece le rapide ma impietose carrellate sugli spettatori della platea hanno messo in mostra molti uomini con maglioni, jeans e mocassino (tipo concerto di Nino d'Angelo), donne con pinze nei capelli o con scollature vertiginose e un'età media prossima ai 70. Insomma diciamo che l'abito e il papillon non sono più un imperativo categorico, basta pagare e ti accettano anche in ciabatte e vestaglia.
Passiamo alla conduzione: Carlo Conti è stato un buon padrone di casa anche se si capiva che non aveva per niente esperienza in fatto di dirette lunghe e spesso imprevedibili. Ha avuto culo che non gli sono capitati gli operai di qualche fabbrica, o il disoccupato che minaccia di buttarsi dalla piccionaia o qualche femen con le tette al vento. Emma Marrone che immaginavo con uno stile simile ad un camionista in trasferta è stata invece brava e semplice al contrario di Arisa che ho trovato scazzata, priva di reggiseno e incapace di leggere una frase senza incasinarsi. L'amante di Raul Bova non pervenuta. 
Le canzoni non sono quei fenomeni da hit parade che aveva preannunciato Carlo Conti. Alcune sono carine (Alex Britti, Annalisa, Ayane) altre sono insapori (talmente tanto che non mi ricordo neanche chi le abbia cantate), alcune copiate (Chiara), altre hanno deluso parecchio le mie aspettative (Gianluca Grignani). Se avessi un fratello che canta (male) come Nesli anche io non gli parlerei più (mollare il rap per il pop è qualcosa che non si può davvero perdonare).
Tra gli ospiti il vero trionfatore è stato Tiziano Ferro. E' stato talmente bravo e coinvolgente che pensare di dover sentir cantare qualcun'altro dopo di lui è stato come inghiottire un lassativo a lento rilascio. Alessandro Siani non ha fatto ridere nessuno a quanto pare ma scusate a me un sorriso l'ha strappato quando ha chiesto al bambino se entrava nella sedia (mai far battute sul peso non sia mai).
LE COSE VERAMENTE ORRENDE SONO STATE DUE:
1) La famiglia neocatecumenale con 16 figli col padre (uno sfigato pazzesco che uno si domanda come abbia fatto a trovare una donna e successivamente a capire dove inserire il Walter) che continuava a ripetere che i figli erano arrivati grazie alla provvidenza e a Cristo. Questa scena avrà anche fatto felice la Cei, i democristiani e i bravi cattolici italiani ma a me ha fatto solo cagare.
2) Il finale con Carrozzone di Renato Zero per ricordare i cantanti defunti. La tristezza si è impossessata della mia persona e una certa inquietudine ha aleggiato tra le mie stanze. Insomma un requiem al confronto sarebbe stato equiparabile al trenino di Capodanno.
 
 

0 Albano e Romina a me fanno tristezza

Albano e Romina hanno sempre suscitato in me un misto di ribrezzo e attrazione. Ribrezzo per tutto il tempo che sono stati marito e moglie e attrazione dal momento in cui hanno iniziato a scannarsi. Ora che hanno firmato un furbissimo armistizio per ragioni chiaramente economiche scatenano in me un sentimento nuovo, la pena. 
Ieri, come credo mezza Italia, ho guardato con curiosità la loro performance sul palco di Sanremo e mi sono passati per la testa mille pensieri diversi, tipo: ma quanto sono diventati obesi? oppure: ma quanta autostima puoi avere nel dire una simile cazzata "ogni volta che la baciavo rimaneva incinta"? Passeranno gli anni ma Albano resterà sempre il figlio della terra che l'ha generato (e per terra non intendo la Puglia ma proprio la terra coi vermi, le radici e le patate). Un contadino settantenne lo riconosci ovunque: battute triviali, amore per il vino, mani grosse e considerazione zero per la donna. Non è che Albano è diventato così dopo che la signora Power ha deciso di lasciarlo, è proprio nato così ed è questo che mi ha fatto ricordare perchè questa coppia mi ha sempre procurato coliche intestinali. 
Ero bambina e guardavo il Festival con i miei. Primi anni 80, quindi gli anni d'oro della celebre coppia. Lei bellissima e afona, lui brutto come uno scarafaggio e arrogante anche nel modo di cantare. Lei sempre incinta o quasi. Lei che lo guarda con un amore quasi stomachevole, lui concentrato solo sull'ennesimo acuto. Copertine di giornali, interviste, video e ogni volta lei con lo sguardo sempre più sottomesso e lui con un atteggiamento sempre più glaciale. Mi chiedevo dall'alto dei miei dieci anni come fosse possibile che una bella donna figlia di un grande attore hollywoodiano potesse accettare una vita da reclusa in quel di Cellino San Marco, una vita a farsi ingravidare e a dare la tetta all'ennesimo figlio tra un tour e l'altro. 
Poi la tragedia della figlia scomparsa nel nulla. Ed è lì che secondo me le differenze si sono viste: lui ha fatto il pragmatico, cinico figlio della terra e lei si improvvisamente ricordata che la vita forse non era fatta solo di canzoni stucchevoli e biberon. Lei ha continuato a credere (come farebbe ogni mamma del mondo) e lui le avrà dato dell'irrazionale o dell'idiota. CRAC. 
MAGIA: la favola è finita e inizia il film dell'orrore. Lancio di coltelli, accuse infamanti, lui che ingravida la Lecciso con uno dei suoi baci da vero inseminator, Isola dei Famosi, interviste a Chi per ribadire che LUI NON AVREBBE MAI LASCIATO ROMINA (ma nel frattempo una scopatina qua e là non se l'è negata) e brutte canzoni.
DOPPIA MAGIA: i due ormai a corto di contanti e in cerca di un ritorno di immagine decidono di sotterrare l'ascia di guerra per un mega concerto in Russia. Il resto della storia lo conosciamo.
La cosa che più mi fa pena e tristezza è l'assoluta mancanza di credibilità di due che cantano canzoni che ormai non significano più niente.   

martedì 3 febbraio 2015

1 Darkman (1990)

L'ho ammetto: ho una passione smisurata per Sam Raimi perciò questa sarà una recensione molto di parte. Ammetto anche il peccato mortale (per un fan) di non aver mai visto prima di adesso questo film che credo tra 'altro non passi in televisione da tantissimo tempo. 
La storia è semplice: Peyton (interpretato in modo direi magistrale da Liam Neeson) è uno scienziato che cerca di riuscire nell'impresa titanica di creare dal nulla pelle artificiale per aiutare coloro che sono stati vittima di ustioni e ferite gravi. Il suo progetto va in fumo quando una banda di delinquenti (interessati a delle particolari carte presenti nel suo laboratorio) uccidono il suo assistente, bruciano la sua casa e infine lo immergono nell'acido. Tutti lo danno per morto ma in realtà egli è sopravvissuto anche se orribilmente sfigurato. Un centro ospedaliero decide di recidergli i nervi causa del dolore ma facendo questo sviluppano in lui una rabbia quasi animalesca che supplisce in parte alla mancanza di sensazioni fisiche. Peyton recupera gli strumenti del suo laboratorio e continua nei suoi esperimenti fino a riuscire ad ottenere una pelle artificiale che però ha una durata massima di 99 minuti. Grazie alla creazione di nuove facce (divertente e anche incredibilmente futuristica l'idea di una sorta di stampante 3d che solo ora negli anni 10 del 2000 stiamo imparando a conoscere per davvero) Peyton si crea nuove identità per vendicarsi di chi l'ha ridotto a quel modo.
Questo film è un gran film nonostante la critica al tempo l'abbia demolito catalogandolo fra le scadenti pellicole di serie B. Certo, il realismo non è il suo forte ma cosa vogliamo dire degli stupendi effetti speciali (mi riferisco soprattutto alla sezione trucco), dei rocamboleschi inseguimenti, del pizzico d'ironia che è marchio di fabbrica di Raimi, della struggente disperazione di un uomo solo che non sarà mai accettato dalla società a causa delle sue orribili ferite?? 
Bisogna calarsi nell'epoca in cui questo film ha visto la luce e ritrovare quell'ingenuità che abbiamo perso per strada a causa degli enormi progressi compiuti dalla tecnica cinematografica. E' ovvio che ora tutto ci sembra ridicolo e poco realistico ma è grazie a registi pionieri come Raimi che si è giunti ai risultati strabilianti dell'epoca attuale.
Da riscoprire
VOTO 7   
 

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