La boria, le bugie, la finzione sono elementi dominanti nella personalità superficiale del giovane pubblicitario Stu Shepard (interpretato da un piagnucoloso Colin Farrell). Crede di avere in pugno New York con il solo aiuto della sua spregiudicatezza e di un telefonino con il quale organizza le sue giornate e i suoi successi ma non so che la sua vita sta per cambiare. Come tutti i giorni entra nella solita cabina del telefono (l’ultima rimasta nella Grande Mela), si sfila la fede nuziale e chiama un’aspirante attrice che solletica la sua fantasia di uomo. Da lì a poco il telefono inizia a squillare e Stu risponde, come gesto automatico dopo giornate trascorse al cellulare. Dall’altra parte del filo c’è il suo Destino, una voce profonda e beffarda che inizia a perseguitarlo, dimostrando di conoscere tutta la sua vita, comprese le bugie con cui ha costruito il suo personaggio. L’uomo misterioso guarda Stu dalla finestra di un palazzo di fronte alla cabina e questo pone fine alla possibilità che il giovane possa riattaccare e fuggire. Un fucile segue ogni sua mossa mettendo in chiaro che il gioco non può finire finché non sarà il killer a decidere di porre fine al macabro divertimento.
La regia usa lo split screen a piene mani e gioca con le inquadrature in modo da enfatizzare elementi della scena che apparentemente sembrano non rappresentare niente di speciale ma che in alcuni casi sottolineano il carattere del personaggio (vedi per esempio il cartello pubblicitario alle spalle di Stu che dice “chi ti credi di essere?” o l’anello nuziale disinvoltamente lasciato sul telefono a gettoni e rindossato al cospetto della moglie, come simbolo di un tardivo pentimento). Oltre questi stratagemmi di poco conto non c’è molto altro. Il film non ha un vero contenuto né una trama credibile. Sembra infatti esagerato pensare che un serial killer (o meglio Moralizzatore visto i fini educativi che guidano la sua mano) si prenda la briga di “purgare” un uomo che ha come unica colpa quella di salire la scala del successo con bugie da naso di legno o che pensa di tradire la moglie senza per altro arrivare a concretizzare questa banalissima fantasia. Un uomo con gli attributi che nel giro di 70 minuti (narrati in tempo reale) si trasforma in un’ameba lacrimosa e sudata. In realtà il regista non riesce a comunicare tensione allo spettatore che rimane lì a chiedersi se succederà mai qualcosa o se la storia procederà fino alla fine su un binario morto. Persino il finale non riesce a fare il botto perché tutto sommato risulta già visto tante volte in altri film thriller magari qualitativamente superiori. Non è un film che si fa ricordare.
VOTO 5
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