giovedì 28 giugno 2012

0 Adua e le compagne (1960)

 Un film meraviglioso e molto molto amaro. Il regista è Antonio Pietrangeli al quale avrei dato tranquillamente un Oscar per aver stigmatizzato in maniera delicata ma anche parecchio cruda la sorte delle “ragazze di vita”. Spesso nell’immaginario collettivo si pensa che la prostituzione sia qualcosa dei nostri tempi, una piaga che coinvolge le povere ragazze straniere che vengono costrette da squallidi papponi a fare il mestiere più antico e (ahimè) più richiesto del mondo. E invece, nonostante il cinema si presenti piuttosto edulcorato da questo punto di vista (almeno fino agli anni 70 se non si considerano i film di Pier Paolo Pasolini o i film del Neorealismo) e invece ripeto questo problema esisteva già e forse, anzi sicuramente, c’erano molti più uomini rispetto ad oggi che si recavano nelle case di tolleranza per soddisfare le proprie esigenze sessuali. A volte si parla con uomini anzianotti con dentiera incorporata e sputacchiera che si soffermano a raccontare, aggiungerei con più di un pizzico di malinconia, le esperienze gratificanti con le prostitute. Per gli uomini era un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta, dal seno della madre a quello di una puttana.

Ma di loro, delle prostitute cosa ne sappiamo? Non molto, ma Pietrangeli cerca di darci una sua opinione in merito, raccontando la storia di quattro donne, Adua, Marilina, Lolita e Milly che dopo la chiusura delle “case chiuse” in seguito all’approvazione della Legge Merlin, decidono di aprire una trattoria in campagna col proposito iniziale di continuare il mestiere ma stavolta senza padroni, usando come copertura proprio il ristorante. Però il tempo passa e le intenzioni cambiano: Adua si innamora di Piero un simpatico venditore di automobili, Marilina riabbraccia il bambino che da tempo aveva affidato ad una balia, Lolita continua ad essere la svampita della compagnia ma con il sogno di fare cinema e Milly inizia una relazione con Emilio, un bravo ragazzo sardo che intende sposarla. Le quattro però hanno stipulato una sorta di contratto non scritto col proprietario del terreno e della villa che pretende che le donne ritornino a svolgere il mestiere per potergli garantire entrate di un milione al mese. Nessuna di loro è intenzionata a cedere e Adua ormai disperata denuncia pubblicamente le intenzioni del vile uomo ma questo non fa che ritorcere la situazione contro le povere donne che vengono portate in carcere, schedate e le cui foto appaiono nel quotidiano della città. Questo sconvolge i piani di tutte e l’ultima sequenza ci mostra Adua, ubriaca, imbruttita che si aggira per i marciapiedi di città a vendere il suo corpo, nonostante avesse giurato di non finire mai come “quelle là”.

Insomma, niente lieto fine ma anzi un pessimismo cosmico che sembra voler dire: è inutile che tu voglia sollevarti e migliorare te stesso perché il marchio che hai addosso ti seguirà per tutta la vita. Non molto piacevole ma forse racconta la verità e questo fa male perché in fondo tutti noi che abbiamo visto il film un po’ ci abbiamo creduto che queste donne potessero realizzarsi completamente e vivere la loro vita come tutte le altre donne. Inutile dire che mi è piaciuta tantissimo l’interpretazione di Simone Signoret che presta il volto ad Adua, il personaggio più complesso e forse per questo il più bello. Un viso bellissimo, intenso, triste ma capace di illuminarsi con un sorriso. Una donna che si innamora dell’uomo sbagliato, che gli dà il suo cuore per vederlo poi calpestato ma che non perde la forza e tira avanti, prendendo in mano la situazione che le sue amiche non saprebbero mai affrontare da sole.  Troppo teatrale invece Emanuelle Riva (Mariolina), isterica e sopra le righe. Sandra Milo fa Sandra Milo, nel senso che non perde quella vacuità che si porta dietro da 80 anni, ma l’oca la fa benissimo.

Io il film lo consiglio veramente a tutti coloro che amano il buon cinema italiano, quello vero, quello che non parla di storie poco credibili ma che si sofferma sulla realtà e vuole raccontare la vita senza tanti giri di parole.

VOTO 10    

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