Ho passato anni a chiedermi cosa fosse la Felicità, a cercarla in ogni angolo di questo mondo, dietro quei sorrisi di carta che bruciano in fretta dietro parole vuote, ho pensato di averla trovata quelle due o tre volte in cui il cuore mi ha regalato un paio di battiti in più al ritmo canonico del cuore. L’ho sfiorata, l’ho fumata e poi come un anello di fumo è volata via in un pomeriggio qualunque. La Felicità spesso l’ho confusa con un premio partita troppo raro in anni composti da 360 giorni di rabbia, lacrime e punti di domanda. 5 giorni per sognare, 360 per svegliarsi da un incubo.
Ho scritto sulla Felicità, ho vergato chilometri di carta straccia per poi rendermi conto anni dopo che tutto quello che potevo leggere in quel bianco e nero era solo Depressione e Combustione. Su e giù di altalene senza futuro, senza senso. Ma in quel momento ero alla ricerca stralunata di qualcosa di troppo distante e non lo sapevo. Confondevo la felicità con mille cose che non erano nulla.
Ora.
Ora la Felicità non si nomina, la Felicità è qua, seduta sulle mie gambe come un gatto acciambellato che emette un bel ron ron di piacere. L’ho capito dopo aver camminato al buio con un cappellaccio calato sugli occhi e l’andatura sicura come quella di un ubriaco con in mano un fondo di bottiglia di vino scadente.
Ora che dalla mia finestra guardo un piccione spettinato e il cielo è fitto di nuvole, ora che il vento porta con sé i primi sintomi di un autunno precoce, posso dire
sono felice
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