Trama: un gruppo di ricconi con mogli discinte decide di trascorrere qualche giorno in una villa situata in un’isola deserta. Non sanno che tra poco li raggiungerà la morte nelle vesti di un misterioso serial killer…
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Il film è diretto dal maestro del thriller Mario Bava che in seguito pare abbia dichiarato il suo odio proprio per questa inverosimile pellicola.
Penso che questo tipo di film abbia bisogno di un approccio rilassato e di larghe vedute da parte dello spettatore nel senso che chiaramente è meglio non farsi circuire dalla dicitura thriller affianco alla descrizione del film perché chiaramente si rimarrebbe parecchio delusi. Ormai siamo abituati ad un genere thriller che presenta un intreccio fortemente logico e ad incastro perfetto…per farla breve tutto ciò che capita all’interno della storia ha un suo senso preciso che seppur imperscrutabile all’inizio diventa chiarissimo sul finale. In questo caso tutte queste norme vengono meno per lasciar spazio ad una trama che presenta molte falle e che proprio per questo motivo spinge lo spettatore a perdere interesse dopo poche sequenze.
Ricordiamoci però in che anni siamo. Gli anni 70 sono quelli che vedono spopolare al cinema la commedia all’italiana fatta di seni al vento, belle forme e donne truccatissime e disponibili. Questi elementi trovano ampio spazio all’interno di 5 bambole per la luna d’agosto. Non mancano le allusioni sessuali, la donna oggetto ma anche la donna cacciatrice e persino la relazione lesbo (anche se quest’ultima è solo accennata in una sorta di via di mezzo tra l’idea di trasgressione e la paura della censura). In mezzo a tutto questo trova spazio tutta una serie di elementi gialli e horror come le uccisioni violente, il sangue e i corpi dei cadaveri appesi a ganci nella cella frigorifera proprio accanto ad un grosso quarto di bue. Siamo insomma nell’ambito del trash più puro ed è proprio questo che rende questo film un piccolo cult movie per gli appassionati della cinematografia italiana anni Settanta. I mezzi erano pochi, il cast è rappresentato da un gruppo di volti poco noti se escludiamo Edwige Fenech per una volta lontana dalla commedia sexy (eppure vicinissima proprio per gli elementi di cui sopra), nessuno spicca e tutti compiono azioni illogiche. In fondo è divertente e rappresenta un esperimento curioso e a suo modo autoironico perché davvero non si può credere che il creatore della sceneggiatura (Mario di Nardo)ritenesse razionale ciò che aveva scritto a meno che non fosse in preda ai fumi dell’alcol.
La regia insiste molto sui primissimi piani e sulle zoomate in avanti e indietro, scelta stilistica che genera solo un forte senso di nausea (siamo lontanissimi dalla suspense hitchcockiana). I raccordi sono anch’essi illogici così come il passaggio dal tramonto alla notte più fonda nello spazio di due inquadrature.
VOTO 5
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