Che drammone accipicchia! Mentre seguivo divertita le battute iniziali e vedevo sorgere davanti ai miei occhi una Firenze rinascimentale tutta di cartapesta e scenografie allla Mellies, pensavo “ma che cazzata sto guardando?”. La sensazione si ingigantiva nel vedere la parrucca bionda di Amedeo Nazzari e nel sentire il birignao della Calamai. Poi qualcosa accadeva…
La chiamano magia del cinema ed è una cosa bellissima, forse ormai appartenente ad un cinema d’altri tempi, quello che la gente seguiva con la bocca aperta e l’espressione sognante, seduta in scomodi sedili di legno tra fumo denso di sigarette e mormorii di approvazione.
Siamo davanti ad un classico dei classici. Un film molto vicino al teatro con una recitazione da palcoscenico piuttosto che da cinepresa, con attori chiamati a recitare un dramma storico con linguaggio d’altri tempi, ostico all’inizio ma immediatamente godibile una volta entrati nel vivo della vicenda.
La storia è semplice, tutta basata sul desiderio del beffato Giannetto di beffarsi a sua volta del terribile Neri e di suo fratello Gabriello, entrambi colpevoli di trattare come un vile l’uomo ma soprattutto di avergli rubato Ginevra, la donna che lui ama. Da qui partono tutta una serie di situazioni che piano piano mettono in scena il dramma finale.
Siamo negli anni precedenti alla guerra, quando il regime fascista preferiva intrattenere la popolazione con spettacoli di questo genere piuttosto che utilizzare strumenti di propaganda. L’Italia si poneva così come un paese in cui il cinema non portava avanti grandi messaggi ma si limitava a far divertire il pubblico pagante. E lo faceva attraverso film in costume come in questo caso o con drammi sentimentali, sempre girati all’interno di studi cinematografici. Sono ancora lontani gli anni del Neorealismo, ma nonostante ciò è inutile denigrare questo tipo di film, molto più leggeri e assolutamente lontani dalla realtà di tutti i giorni.
In questo caso abbiamo uno dei divi di quegli anni, il sardissimo Amedeo Nazzari, un uomo tutto d’un pezzo che figura come il vero protagonista della vicenda. Recitazione d’alta scuola, fisicaccio e grande feeling con la telecamera. Tutti gli altri si fanno dimenticare in fretta, più simili a caratteristi che ad attori con grandi potenzialità anche al di là del singolo film.
Come non ricordare poi la celeberrima frase “chi non beve con me peste lo colga”? Insomma se a prima vista il film sembra un pezzo di antiquariato, più simile ad un vecchio merletto muffito che ad un pezzo di storia del cinema, bisogna comunque insistere e non si rimarrà delusi, soprattutto se si è appassionati di cinema.
VOTO 7
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