Opera prima di Kim Rossi Stuart. Meravigliosa, potente e allo stesso tempo delicata e profondamente intima. Eppure passata praticamente inosservata, come capita troppo spesso ad un certo tipo di cinema italiano estraneo alle dinamiche del guadagno e della faciloneria. I pochi che hanno avuto la fortuna di vedere questo gioiello in sala saranno usciti dal cinema con la sensazione di aver assistito ad un film realizzato con cura e modestia, un film denso di significati capace di catturare l’attenzione dello spettatore dal primo all’ultimo fotogramma.
La storia vede al centro una famiglia romana composta da un giovane padre, Renato (Kim Rossi Stuart) e dai suoi due figli, Tommi e Viola. Solo dopo un po’ di vissuto capiamo che esiste anche una madre che ha lasciato la sua famiglia perché terrorizzata dal vivere una vita normale, attratta dalle seduzioni di un ricco portafoglio maschile e in generale dalla libertà di donna single. I tre si barcamenano come possono, vivendo una vita strana, a metà tra le soddisfazioni di Viola, una ragazzina estroversa e allegra, e l’introversione di Tommi, un bambino vessato da un padre affettuoso ma anche duro, intransigente e rancoroso nei confronti di una vita che l’ha preso a calci in culo troppe volte.
Il film potrebbe riguardare Tommi, soprattutto il modo in cui un bambino della sua età vive una situazione famigliare difficile e controversa, ma in realtà la pellicola si sofferma tanto anche su suo padre, mettendo a confronto due mondi lontanissimi eppure vicini. Tommi agli occhi di Renato è un ragazzino con grandi potenzialità che dovrebbe usare per sfondare nel mondo del nuoto, sport a dire dello stesso Renato superiore al calcio, sport che Tommi sogna di praticare ma che non piace al padre. Renato lo obbliga ad essere il migliore, a vedere gli altri come degli sfigati, proprio come lui stesso vede il mondo che lo circonda e che lo respinge, colpevole di non vedere le sue grandi doti di cameraman. Ovviamente Tommi risponde a tutto questo con terrore e passività, legato al padre ma incapace di capire perché non può fare quello che fanno tutti i suoi compagni di scuola. Gli unici momenti in cui il bambino si sente padrone della sua vita sono quando di nascosto da tutti sale sul tetto del proprio palazzo per osservare la vita che si svolge dietro le finestre del quartiere. Condivide questo suo piccolo mondo con Antonio, un bambino del palazzo, che rappresenta per lui tutto quello che vorrebbe avere ma che può solo guardare: una famiglia composta da papà e mamma, la settimana bianca, un padre che condivide col figlio ogni momento libero, in generale la stabilità e la serenità del quotidiano. Anche il ritorno imprevisto della madre mette Tommi in una situazione complicata, diviso com’è tra la diffidenza e l’amore per una donna che l’ha messo al mondo ma che non l’ha cresciuto. E’ consapevole più della sorella maggiore che il ritorno della madre è solo una breve parentesi ma soffre in silenzio, lasciando uscire il dolore solo negli ultimi istanti di film, come un sospiro trattenuto per troppo tempo.
Gli attori sono tutti straordinari, in particolar modo Kim Rossi Stuart, perfetto nella parte del padre nevrotico, coraggioso nel mettere in bocca al suo personaggio anche una scomodissima bestemmia, funzionale comunque alla situazione di disperazione, rabbia e impotenza che prova Renato in quel frangente. Bravissimo anche il giovane Alessandro Morace, pochissime battute a fil di voce ma espressività che comunicava più di mille parole, con uno sguardo profondo che faceva a gara con quello di Stuart. Perfetti comunque nella parte del padre e del figlio.
La regia è semplice, elementare, senza fronzoli, perfetta per una storia italiana dei nostri giorni. Nessun messaggio subliminale tranne il sogno erotico dello stesso Tommi che comunque vuole comunicare il passaggio alla fase puberale del ragazzino, intimidito e incuriosito dalle avance quasi sessuali della sorella e della madre.
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