martedì 19 marzo 2013

0 Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975)–Milos Forman

McMurphy (Jack Nicholson) viene ricoverato in un ospedale psichiatrico dell’Oregon per vagliare la sua salute mentale in seguito alla segnalazione del carcere in cui era sottoposto a reclusione. Da questo momento inizia il percorso che lo porta interagire e ad affezionarsi ai suoi compagni di sventura, degli uomini che manifestano fragilità mentale ma che si affezionano subito al loro nuovo amico, così diverso da loro nel non rispettare le rigide regole imposte dalla temibile e altera infermiera Ratched (Louise Fletcher) e capace di idee geniali come l’improvvisata gita al largo per pescare e godere di un po’di libertà. McMurphy guarda dentro di loro meglio della caporeparto, capisce subito che dentro quei “picchiatelli” battono cuori di uomini che hanno perduto (o che non hanno mai avuto) la capacità di divertirsi e di sentirsi a tutti gli effetti normali. Tutto però precipita proprio in seguito ad uno dei tentativi di McMurphy di ottenere il permesso per vedere una partita di baseball in televisione. Il rifiuto (ingiusto) genera nell’uomo la volontà di opporsi strenuamente alla caporeparto che continua come se nulla fosse i suoi incontri psicologici con i pazienti, riunioni che fanno chiudere ancora di più i degenti e che anzi finiscono per esacerbarne gli animi fino allo scoppio di un finimondo per la negazione di un pacchetto di sigarette. Da lì per McMurphy inizia la vera presa di coscienza di cosa sia un ospedale psichiatrico. Viene sottoposto ad elettroshock e nonostante ciò non si arrende, ma medita di fuggire alla prima occasione utile. Quando questa arriva però non riesce a coglierla e finisce così per essere sottoposto a lobotomia, l’unico modo secondo gli esperti per curare il suo stato di aggressività e indisciplina. Quando però viene riaccompagnato nel suo letto è ormai privo di qualsiasi parvenza di umanità e dignità e così il suo vecchio amico Grande Capo gli dona la possibilità di fuggire per sempre dal suo stato catatonico e da quel carcere crudele.

L’unica parola che mi sento di utilizzare per riassumere questo film è straziante. Inutile dire che l’Oscar come migliore attore al grande Nicholson è quasi scontato, così come quello alla Fletcher, impressionante in quel suo sguardo fisso e glaciale, implacabile e privo di emozioni. Ma tutti coloro che hanno preso parte a questa crudele, drammatica ma realistica descrizione della vita in un ospedale psichiatrico, offrono una prova di altissima scuola. Troviamo un giovanissimo De Vito e un irriconoscibile Christopher Lloyd, ancora lontano dalla fortunata trilogia di Back to the future. Si percepisce uno studio e un’attenzione particolare nella messa in scena di qualcosa di purtroppo molto reale. L’assoluta mancanza di attenzione per le esigenze del malato, la mancanza di rispetto della dignità umana, la crudele capacità della capo reparto di far leva su ciò che maggiormente può ferire il malato (vedi la minaccia di raccontare alla madre di Billy la sua prima esperienza sessuale con una donna). Il personaggio di McMurphy, perfetta copia del suo magistrale interprete, porta una ventata di aria fresca e pulita nelle vite di quei poveri disgraziati che per la prima volta riescono a vedere il mare, si innamorano, si ubriacano, scherzano, ridono, in una terapia priva di agenti chimici e per questo non presa in considerazione dalla comunità scientifica dell’epoca.

Un grande film di denuncia che fa tremare il cuore e tormenta le coscienze. Il finale è bellissimo perché unisce la morte alla rinascita di un altro individuo, finalmente pronto a spiccare il volo verso la libertà.

VOTO 10  

venerdì 15 marzo 2013

0 xXx (2002)–Rob Cohen

Action movie con protagonista il muscolosissimo Vin Diesel nei panni di un fuori di testa specializzato in imprese estreme che fa circolare sul web e che vengono notate dalla Cia nella persona del solito Samuel L. Jackson (per l’occasione adorno di una guancia sfregiata, segno delle mille battaglie combattute per la grande madre America). Vin deve vedersela con la malavita di Praga (splendida città immortalata da una regia mediocre) e disinnescare una bomba nucleare che rischia di spazzare via l’intero pianeta. Come “Vin Girl” è stata scelta Asia Argento che come suo solito offre una prova pessima, impreziosita da un modo di parlare che è tutto fuorché artistico. L’antitesi dell’attrice che per oscuri motivi viene scritturata per produzioni anche importanti.

Il film è orrendo, noioso, inverosimile con inquadrature errate e dialoghi senza senso. Una delle cose peggiori che mi è capitato di vedere negli ultimi anni.

VOTO 3

martedì 12 marzo 2013

0 Tutta colpa dell’amore (2002)–Andy Tennant

Melanie (Reese Witherspoon) è una ragazza fortunata: vive nella Grande Mela dove si sta affermando come stilista emergente e soprattutto sta per convolare a giuste nozze con il bell’Andrew (Patrick Dempsey), figlio del sindaco della città. Per lei, ragazza del profondo sud americano è come aver messo a segno un bel sei al superenalotto. Unico problema: ottenere il divorzio dal suo primo marito Jake, gran buzzurro di paese e suo primo amore (da quando si diedero il primo bacio ancora bambini dopo essere stati sfiorati da un fulmine).

La più classica delle commedie romantiche made in Usa ci viene riproposta con scarsa volontà di innovazione dal regista Tennant. L’intero cast è formato da gente che potrebbe tranquillamente entrare di diritto nella classifica degli attori più attraenti d’America e già questo toglie un po’ di realismo a tutta la storia.

Forse l’unica nota davvero piacevole (ma comunque scontatissima) è quell’atmosfera “sudista” che caratterizza tutto il soggiorno di Melanie nel suo paese natio, composto per lo più da gente sbronza, amante della musica country e del biliardo.

VOTO 5,5 

mercoledì 6 marzo 2013

0 Il colore del crimine (2006)–Joe Roth

Film per niente ambizioso che come regia tende moltissimo al televisivo piuttosto che al grande schermo. Ritmi blandi, dialoghi scontati (ma degno di nota il lungo monologo di Julianne Moore nella sua terribile confessione finale) e moltissimi luoghi comuni. Il tema portante è l’eterna lotta tra nero e bianco che in questo caso divampa quando la protagonista, Brenda, racconta di essere stata aggredita da un uomo di colore che ha anche rapito il suo bambino di 4 anni. La polizia (bianca) si scatena contro il quartiere nero che in risposta alza le barricate creando una cerniera umana tra la zona bianca e la zona nera della città. Il poliziotto che si fa intermediario tra le due fazioni è Lorenzo, un ispettore di colore interpretato in modo misurato dal solito Samuel L. Jackson.

Il colpo di scena è molto banale e poco coinvolgente ma inserisce nella storia un altro elemento che di questi tempi è sempre più di attualità: la follia materna che si scatena in modo irrazionale e violento nei confronti della propria progenie. Per carità Brenda non uccide per sua mano il figlio ma ne è la diretta responsabile, solo in parte giustificata dal suo passato da tossica e dalla sua generale instabilità mentale. In ogni caso seppure gli argomenti trattati possano essere di grande interesse, il modo in cui il compito è stato svolto lascia alquanto a desiderare.

VOTO 5,5

venerdì 1 marzo 2013

0 Codice Magnum (1986)–John Irvin

La magia degli anni 80 è rappresentata anche da film come questo che fanno dell’azione il loro punto di forza. Non avevo mai visto Codice Magnum prima d’ora e mi rendo conto che la sua visione mi ha regalato emozioni purissime e divertimento a cascata come mi capitava quando andavo al cinema con mio padre quando ero bambina. A quei tempi un titolo con protagonista il grandissimo Arnold Shwarzenegger era garanzia di qualità, inoltre parliamo dei primi anni Ottanta  a cui corrispondono i pezzi da novanta del curriculum dell’ex governatore della California. Inutile e pleonastico citare Conan e Terminator. Lì fantasy e fantascienza qui azione all’americana con grande dispiego di armi, bei vestiti, sigari e macchinoni squadrati. Arnold interpreta il ruolo del poliziotto che veste i panni dell’infiltrato in un’organizzazione mafiosa colpevole di aver ucciso il figlio di un suo collega. Il tema quindi è quello della vendetta che si compie attraverso l’intervento di un unico uomo contro un intero sistema. Adesso questo sarebbe improbabile nei film che siamo abituati a vedere in quanto ormai i registi sono portati a puntare molto sugli antieroi, spesso uomini normali e se vogliamo un po’ sfigati. A quei tempi invece i vari Stallone, Willis e appunto Shwarzenegger erano i nostri eroi, muscolosi, forzuti, sempre sul pezzo, imbattibili. Vedere come Shwarzy fa fuori una trentina di uomini sulle note di Satisfaction degli Stones è veramente adrenalinico, godurioso, maledettamente nostalgico, in una parola unico.

VOTO 7

 

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